Il Corridoio Bizantino

In viaggio nel Corridoio Bizantino, l’idea di un Cammino

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Vagando per alcuni degli angoli più nascosti della Provincia di Pesaro e Urbino ai confini con l’Umbria, può capitare con molta probabilità di addentrarsi, il più delle volte senza rendersene conto, in un territorio che dalla seconda metà del VI secolo dopo Cristo e fino alla fine del dominio Longobardo costituiva l’unico varco capace di unire i due principali centri di potere in Italia di ciò che rimaneva dello smembrato Impero Romano d’Occidente.
Stiamo parlando del Corridoio Bizantino, una striscia di terra che, attraversando Marche, Umbria e Lazio, univa Ravenna a Roma. L’antica Via Flaminia, percorso di collegamento preferenziale adottato durante i secoli precedenti, era infatti interrotta poichè la stretta Gola del Furlo, passaggio obbligato lungo l’arteria che collegava Rimini alla vecchia Capitale Imperiale, era sotto il controllo dei Longobardi. Si rendeva necessario quindi trovare un percorso alternativo che collegasse l’Esarcato di Ravenna e la Pentapoli Marittima (composta dalle città di Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona) con Roma e per questa ragione il varco doveva passare attraverso molte regioni impervie, perlopiù montane e quindi ben difendibili, che i Longobardi non erano ancora riusciti a conquistare.

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Il Corridoio Bizantino

Questi ultimi avevano invaso l’Italia nel 568 d.C., dopo che la guerra contro i Goti per la riconquista delle terre un tempo appartenute all’Impero Romano d’Occidente aveva stremato le forze Bizantine. Per questa ragione e per il fatto che le truppe migliori erano state richiamate a Bisanzio e in Asia per combattere i Persiani e gli Avari, la sottomissione di buona parte della Penisola fu per i Longobardi relativamente facile. I Bizantini riuscirono a conservare sotto il loro dominio alcune zone costiere tra cui appunto l’Esarcato e la Pentapoli, oltre a gran parte del Lazio e dell’Italia Meridionale, ma i Longobardi estendevano la loro influenza nel Centro e nel Meridione attraverso i Ducati di Spoleto e Benevento, e l’Italia Continentale si trovava di fatto spaccata in due zone senza collegamento tra loro, fatta eccezione per il Corridoio Bizantino.

Nei territori di confine in cui transitava il Corridoio, come si può immaginare, viveva una varietà di popoli e culture sia autoctoni che stranieri giunti a traino delle orde barbariche, ognuno con i suoi usi e, soprattutto, con le sue Divinità e Santi Protettori.
Anche se il Cristianesimo si era ormai diffuso ovunque, dopo essere stato prima equiparato alle altre religioni da Costantino e in special modo dopo essere stato proclamato nel 380 d.C. unica religione di Stato dall’Imperatore Teodosio, nelle remote regioni del Corridoio Pesarese era ancora largamente praticato il Paganesimo, come dimostrano i tanti esempi di Chiese costruite in queste zone proprio sopra Are edificate in origine per l’adorazione di Giove o Apollo.
I Longobardi, che come molti altri popoli nordici erano in origine dediti al culto degli Asi di Thor e Odino, si erano avvicinati per convenienza al Cattolicesimo già prima della loro discesa in Italia, quando dovettero ingraziarsi proprio i Bizantini, loro alleati durante lo stanziamento in Pannonia (l’attuale Ungheria).
La decisione di invadere la penisola cambiò però le carte in tavola, e il re Longobardo Alboino decretò, per indispettire i Bizantini, di aderire invece a una delle Eresie condannate ufficialmente dal Concilio di Nicea, l’Arianesimo, che metteva Cristo su un livello inferiore rispetto al Padre negando di fatto la Trinità e che però guarda caso era anche la religione dei suoi principali potenziali alleati contro Ravenna, i Goti, che ancora contavano nonostante la sconfitta subita una buona presenza sul territorio.
Una volta in Italia i Longobardi si integrarono sempre di più con la popolazione locale, fino ad arrivare col tempo a una conversione massiva al Cattolicesimo. Proprio in questo processo di conversione finirono per adottare come Santi Protettori quelli che forse più assomigliavano alle loro antiche divinità e tra questi uno dei più importanti era certamente San Michele Arcangelo, che nella tradizione Cristiana aveva abbandonato Satana e difeso la Vera Fede con la sua spada, in cui i Longobardi riconoscevano molto probabilmente il Dio Odino.
Anche i Bizantini, antagonisti dei Longobardi, avevano naturalmente dei propri Santi Protettori ed erano in particolar modo devoti a San Martino di Tours, protettore della fede Cattolica da tutte le eresie, e in particolar modo proprio da quella degli Ariani contro cui si era impegnato di persona. A testimonianza dell’importanza del Santo l’odierna Basilica di S. Apollinare Nuovo a Ravenna, che era sorta sotto il culto Ariano durante la conquista dei Goti, fu dedicata proprio a S. Martino dopo che i Bizantini ebbero ripreso possesso della città.

Partendo da questi presupposti storici, gli autori di una recente ricerca condotta in collaborazione con l’Università di Urbino dimostrano che è possibile individuare i confini del Corridoio Bizantino proprio dall’analisi dei toponimi dei luoghi e degli edifici religiosi presenti sul territorio. Troviamo così per esempio tanti casi di chiese consacrate e località con riferimenti a S. Michele Arcangelo da ricondurre alla dominazione Longobarda, così come evidentemente tutte le dediche a S. Martino vanno ricollegate invece ai Ravennati. In alcuni casi troviamo addirittura due Santi rivali, uno caro ai Longobardi e uno vicino ai Bizantini, a fronteggiarsi da chiese costruite l’una di fronte all’altra sui versanti opposti di una valle o di un fiume, proprio come se fossero stati loro i veri generali alla testa dei due eserciti avversari.

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San Michele Arcangelo dipinto da Guido Reni

Sulla base di questo lavoro possiamo provare allora a disegnare un itinerario di viaggio che, seguendo le tracce individuate dagli storici, ci porti alla scoperta di un tratto del Corridoio nella Provincia di Pesaro e Urbino e che, saltando tra zone Longobarde e Bizantine, ci conduca dal confine con l’Umbria seguendo i principali corsi fluviali fino alla Gola del Furlo e quindi al Mare Adriatico.
Il territorio su cui viaggeremo è sostanzialmente montuoso, in prossimità dell’estremità Nordoccidentale di due dorsali parallele alla costa, quella Umbro-Marchigiana e quella propriamente Marchigiana. La prima corre ai confini tra Marche e Umbria e comprende tra le vette principali i monti Catria, Nerone e Petrano, mentre le montagne che formano la Gola del Furlo (Pietralata e Paganuccio) appartengono alla Dorsale Marchigiana.
I fiumi principali scorrono invece perpendicolarmente alle catene montuose, creando a volte strette gole e a volte vallate più ampie. Il fiume Burano, il primo che incontreremo lungo il nostro percorso, nasce in Umbria e da qui, dopo aver attraversato la prima delle due dorsali, arriva nella città di Cagli. Continuando nella sua corsa verso il mare diventa affluente di un altro fiume, il Candigliano, anch’esso proveniente dall’Umbria, che a sua volta dopo avere tagliato come un rasoio l’anticlinale della seconda dorsale e aver formato così la Gola del Furlo, si getta nel più celebre fiume Metauro.

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Il percorso della Via Flaminia

Partiamo dunque da Pontericcioli, che si trova proprio lungo il corso del fiume Burano al confine della Provincia di Pesaro-Urbino, e che fu un’antica città Umbra successivamente conquistata dai Romani e diventata col tempo un importante centro di transito lungo la Via Flaminia. Pontericcioli si raggiunge da Fano seguendo la superstrada verso Fossombrone e Cagli, oppure da Gubbio e Scheggia se si proviene da Roma lungo la vecchia Flaminia. Oggi è un piccolo centro, che si fa notare per il Ponte Grosso di epoca Romana e per la sua possibile identificazione con l’importante municipio Romano di Luceoli istituito nel I secolo avanti Cristo. Già da qui studiando le tracce toponomastiche vediamo che l’alta vallata del Burano era sotto il controllo Ravennate e lo capiamo proprio da alcuni riferimenti a un’altra importante figura molto legata ai Bizantini, che si dice fu diretto discepolo di San Pietro e primo Vescovo di Ravenna, Sant’Apollinare.
Oltre il monte Petria, posizionato di fronte al più noto Catria e che separa Pontericcioli dalla frazione di Chiaserna, le cose erano ben diverse. La Chiesa di S. Anastasia nel centro del paese (Anastasia era una figura cara ai Goti, essendo riconducibile al culto della Resurrezione o Anastasis) e l’Abbazia di S. Angelo, che si trova nei pressi dell’abitato lungo la valle del torrente Bevano, ci indicano molto chiaramente che questa vallata era abitata da popoli di origini Barbare.
Procedendo verso Nord arriviamo così nel borgo di Cantiano, che si trova proprio al crocevia tra la “via Bizantina” lungo la valle del Burano e quella Longobarda proveniente da Chiaserna, e da qui proseguiamo per la frazione di Moria, paesino inerpicato sul versante Sud Ovest del Monte Petrano, dove ritroviamo un’altra Chiesa dedicata a S. Apollinare. A poca distanza, tra i due piccoli centri abitati di Caimarini e Caimercati, troviamo anche una località ancora oggi nota come Colle di S. Martino e questi evidenti riferimenti a Santi Bizantini ci fanno capire che il Corridoio passava proprio da qui. Il Monte Petrano era stato infatti fortificato in modo massivo dai Ravennati, anche se oggi ormai non ritroviamo che pochi resti di questo possente sistema difensivo a protezione della Flaminia e di Luceoli.

Guardando ancora a Nord, sul versante opposto di un altro affluente del Burano, il torrente Bosso (famoso per la sua gola e il suo museo geologico a cielo aperto), si innalza un altro importante massiccio montuoso della zona, il Monte Nerone, che era invece strenuamente presidiato dalle truppe longobarde come dimostrano le chiese dedicate a S. Michele Arcangelo di Cerreto e Fosto. Il primo è un piccolo centro che si raggiunge dal borgo di Pianello dirigendosi verso la cima del Nerone, il secondo è altrettanto piccolo ma si raggiunge dalla strada di collegamento che dall’abitato di Secchiano conduce verso Piobbico. Il Nerone sembra essere stato meno militarizzato con torri e castelli rispetto al Petrano, ma la cosa può verosimilmente essere spiegata col semplice fatto che i Longobardi erano comunque in maggioranza e non dovevano controllare uno stretto passaggio attraverso gli schieramenti nemici come invece erano costretti a fare i loro rivali.

Lasciamo la zona di influenza Longobarda e continuiamo a seguire il nostro varco che da Moria ci porta sulla cima del Petrano e, seguendo il suo dolce profilo e attraversando i pascoli sommitali, ci porta a ridiscendere dal versante opposto proprio nei pressi di Cagli.
Questa importante cittadina, pur essendo stato un caposaldo della difesa Bizantina, pullula di riferimenti Longobardi. Ritroviamo infatti oltre al “solito” S. Michele Arcangelo (diventato tra l’altro curiosamente anche parte dello stemma della città dopo che questa venne ricostruita e ribattezzata Sant’Angelo Papale da Papa Niccolò VI alla fine del 1200) anche riferimenti ad altre figure care ai Longobardi, come San Savino. Anche la gola del Bosso, che proprio a Cagli si unisce al Burano, era interdetta ai Ravennati, come dimostra la località di Ponte Staffolino (termine derivante dal tedesco antico “staffal”, cioè palo), così come non si poteva passare neppure dalla strettoia formata dal Burano tra il monte Tenetra e il Petrano. Sembra che Cagli (o Callis come veniva chiamata allora) fosse letteralmente circondata dai Longobardi ed è difficile qui intuire il passaggio di un varco tra le loro schiere. Seguendo però i nostri ormai amici toponimi, gli studiosi hanno rilevato un passaggio che scende dal Monte Petrano sulla Strada Flaminia poco fuori dalla cittadina, in direzione di Luceoli. Da qui si guadava molto probabilmente il Burano sulla riva destra aggirando i Longobardi stanziati attorno a Cagli per poi, nei pressi dell’abitato di Smirra, tornare sulla riva opposta.
La via proseguiva così fino a un altro importante caposaldo ormai scomparso ma protagonista di molto testimonianze, il Castrum di San Martino, che proteggeva la strada verso Fermignano, importante cittadina nella valle del Metauro. Dopo avere aggirato la Gola del Furlo si poteva così entrare nelle terre del Montefeltro (più tranquille e lontane dai confini coi Longobardi) per raggiungere Urbino e quindi Rimini.

Questo non era però l’unico percorso sicuro per i viaggiatori. Lo studio toponomastico porta infatti a pensare che vi fossero altri varchi attraverso gli eserciti longobardi e che esistessero diverse diramazioni del Corridoio. Tornando all’inizio del nostro viaggio per esempio, nella valle di Cantiano, vi sono tracce evidenti di un passaggio che dalla Pieve di S. Crescentino presso Balbano (risalente agli albori del Cristianesimo e famosa per conservare all’interno affreschi di notevole valore storico e artistico) svalicava verso un altro centro molto importante nella zona, Apecchio, aggirando così le truppe nemiche di stanza sul Nerone.
Scendendo più a valle invece, dopo il Furlo, se anzichè dirigersi a Rimini si era intenzionati a proseguire verso la più vicina componente della Pentapoli, Fano, si doveva forzatamente deviare passando dai centri abitati di Calmazzo e Canavaccio per poi seguire ancora la Flaminia fino appunto all’antica Fanum Fortunae. Interessante è notare come proprio in prossimità di Calmazzo esistesse una zona franca identificata nei pressi di S. Bartolomeo di Gaifa (Gaifa deriva dal termine longobardo waifa che significa “terra che non appartiene a nessuno”), cioè una zona in cui molto probabilmente per interesse comune o accordo tra le parti non si combatteva.

In tempi di sempre maggiore sviluppo del turismo lento e di nascita di percorsi sempre nuovi, credo che quella di progettare una via a tappe lungo il Corridoio Bizantino potrebbe rappresentare un’idea molto stimolante da mettere in pratica.
Ovviamente stiamo parlando di un’idea di itinerario abbastanza diverso da quelli proposti lungo le Vie Sacre e sorti spesso a traino del Cammino “maestro” di Santiago, ma credo che questo non renderebbe di certo il viaggio meno affascinante.
Non parliamo infatti di incamminarsi lungo una via di Pellegrinaggio penitenziale o devozionale ma di un percorso su un antico passaggio attraverso il quale per secoli sono transitati forzatamente a causa della guerra truppe e civili, lasciando testimonianze, costruendo fortezze e borghi e modificando in modo permanente la cultura e le tradizioni locali, e che come tale non può che offrire a un potenziale viaggiatore che voglia ripercorrerla oggi una miriade di contenuti e di spunti storici e religiosi, culturali e artistici, naturalistici e paesaggistici.
Non vanno dimenticate inoltre, sempre in un ipotetico viaggio slow in questo meravigliosa porzione di territorio nella Provincia di Pesaro-Urbino (sono di parte lo so..), le “terre nemiche” occupate dai Longobardi, che non sarebbero certo da meno rispetto a quelle Bizantine e meriterebbero sicuramente interessanti deviazioni e approfondimenti.
Quella che al tempo era la pericolosissima Gola del Furlo è infatti diventata oggi Riserva Naturale Statale, con tutta la sua bellezza e ricchezza che da sola meriterebbe il viaggio, così come i temibili bastioni Longobardi del Monte Nerone sono ora regolarmente occupati da escursionisti, ciclisti e rocciatori.
Per il momento comunque l’idea del Cammino sul Corridoio Bizantino rimane tale ed è possibile percorrere il nostro itinerario solo seguendo le tracce toponomastiche e non quelle dei segnavia. Possiamo per ora solo cercare di stuzzicare la curiosità e lo spirito avventuroso di chi vorrà provare a seguire i passi di un viaggiatore che nel VII secolo d.C. avesse cercato di arrivare da Roma all’Adriatico o viceversa, ma l’intenzione naturalmente rimane quella di riuscire a sviluppare l’idea ulteriormente nel prossimo futuro iniziando, perchè no, dalla realizzazione e pubblicazione di altri articoli con i segmenti del nostro potenziale Cammino raccontati in tutti i loro dettagli.

Per chi volesse approfondire i contenuti storici, geografici e toponomastici del Corridoio Bizantino e del territorio attraversato in Provincia di Pesaro e Urbino è da non perdere il libro da cui ho preso spunto per questo articolo e da cui vengono tutte le informazioni toponomastiche riportate. “Il Corridoio Bizantino al confine tra Marche e Umbria” è stato pubblicato nel 2014 ed è il risultato della ricerca approfondita e appassionata condotta dagli autori Giuseppe Dromedari, Gabriele Presciutti e Maurizio Presciutti, ai quali va un grazie tutto particolare.
Sul loro blog Ver Sacrum è possibile seguire gli aggiornamenti sulle ricerche all’interno del Corridoio, oltre che trovare molte notizie interessanti sulla storia e sulla cultura locale.

Lucio Magi – Ottobre 2015