Il Corridoio Bizantino

In viaggio nel Corridoio Bizantino, l’idea di un Cammino

british_flagEnglish Version

Vagando per alcuni degli angoli più nascosti della Provincia di Pesaro e Urbino ai confini con l’Umbria, può capitare con molta probabilità di addentrarsi, il più delle volte senza rendersene conto, in un territorio che dalla seconda metà del VI secolo dopo Cristo e fino alla fine del dominio Longobardo costituiva l’unico varco capace di unire i due principali centri di potere in Italia di ciò che rimaneva dello smembrato Impero Romano d’Occidente.
Stiamo parlando del Corridoio Bizantino, una striscia di terra che, attraversando Marche, Umbria e Lazio, univa Ravenna a Roma. L’antica Via Flaminia, percorso di collegamento preferenziale adottato durante i secoli precedenti, era infatti interrotta poichè la stretta Gola del Furlo, passaggio obbligato lungo l’arteria che collegava Rimini alla vecchia Capitale Imperiale, era sotto il controllo dei Longobardi. Si rendeva necessario quindi trovare un percorso alternativo che collegasse l’Esarcato di Ravenna e la Pentapoli Marittima (composta dalle città di Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona) con Roma e per questa ragione il varco doveva passare attraverso molte regioni impervie, perlopiù montane e quindi ben difendibili, che i Longobardi non erano ancora riusciti a conquistare.

Mappa_italia_bizantina_e_longobarda

Il Corridoio Bizantino

Questi ultimi avevano invaso l’Italia nel 568 d.C., dopo che la guerra contro i Goti per la riconquista delle terre un tempo appartenute all’Impero Romano d’Occidente aveva stremato le forze Bizantine. Per questa ragione e per il fatto che le truppe migliori erano state richiamate a Bisanzio e in Asia per combattere i Persiani e gli Avari, la sottomissione di buona parte della Penisola fu per i Longobardi relativamente facile. I Bizantini riuscirono a conservare sotto il loro dominio alcune zone costiere tra cui appunto l’Esarcato e la Pentapoli, oltre a gran parte del Lazio e dell’Italia Meridionale, ma i Longobardi estendevano la loro influenza nel Centro e nel Meridione attraverso i Ducati di Spoleto e Benevento, e l’Italia Continentale si trovava di fatto spaccata in due zone senza collegamento tra loro, fatta eccezione per il Corridoio Bizantino.

Nei territori di confine in cui transitava il Corridoio, come si può immaginare, viveva una varietà di popoli e culture sia autoctoni che stranieri giunti a traino delle orde barbariche, ognuno con i suoi usi e, soprattutto, con le sue Divinità e Santi Protettori.
Anche se il Cristianesimo si era ormai diffuso ovunque, dopo essere stato prima equiparato alle altre religioni da Costantino e in special modo dopo essere stato proclamato nel 380 d.C. unica religione di Stato dall’Imperatore Teodosio, nelle remote regioni del Corridoio Pesarese era ancora largamente praticato il Paganesimo, come dimostrano i tanti esempi di Chiese costruite in queste zone proprio sopra Are edificate in origine per l’adorazione di Giove o Apollo.
I Longobardi, che come molti altri popoli nordici erano in origine dediti al culto degli Asi di Thor e Odino, si erano avvicinati per convenienza al Cattolicesimo già prima della loro discesa in Italia, quando dovettero ingraziarsi proprio i Bizantini, loro alleati durante lo stanziamento in Pannonia (l’attuale Ungheria).
La decisione di invadere la penisola cambiò però le carte in tavola, e il re Longobardo Alboino decretò, per indispettire i Bizantini, di aderire invece a una delle Eresie condannate ufficialmente dal Concilio di Nicea, l’Arianesimo, che metteva Cristo su un livello inferiore rispetto al Padre negando di fatto la Trinità e che però guarda caso era anche la religione dei suoi principali potenziali alleati contro Ravenna, i Goti, che ancora contavano nonostante la sconfitta subita una buona presenza sul territorio.
Una volta in Italia i Longobardi si integrarono sempre di più con la popolazione locale, fino ad arrivare col tempo a una conversione massiva al Cattolicesimo. Proprio in questo processo di conversione finirono per adottare come Santi Protettori quelli che forse più assomigliavano alle loro antiche divinità e tra questi uno dei più importanti era certamente San Michele Arcangelo, che nella tradizione Cristiana aveva abbandonato Satana e difeso la Vera Fede con la sua spada, in cui i Longobardi riconoscevano molto probabilmente il Dio Odino.
Anche i Bizantini, antagonisti dei Longobardi, avevano naturalmente dei propri Santi Protettori ed erano in particolar modo devoti a San Martino di Tours, protettore della fede Cattolica da tutte le eresie, e in particolar modo proprio da quella degli Ariani contro cui si era impegnato di persona. A testimonianza dell’importanza del Santo l’odierna Basilica di S. Apollinare Nuovo a Ravenna, che era sorta sotto il culto Ariano durante la conquista dei Goti, fu dedicata proprio a S. Martino dopo che i Bizantini ebbero ripreso possesso della città.

Partendo da questi presupposti storici, gli autori di una recente ricerca condotta in collaborazione con l’Università di Urbino dimostrano che è possibile individuare i confini del Corridoio Bizantino proprio dall’analisi dei toponimi dei luoghi e degli edifici religiosi presenti sul territorio. Troviamo così per esempio tanti casi di chiese consacrate e località con riferimenti a S. Michele Arcangelo da ricondurre alla dominazione Longobarda, così come evidentemente tutte le dediche a S. Martino vanno ricollegate invece ai Ravennati. In alcuni casi troviamo addirittura due Santi rivali, uno caro ai Longobardi e uno vicino ai Bizantini, a fronteggiarsi da chiese costruite l’una di fronte all’altra sui versanti opposti di una valle o di un fiume, proprio come se fossero stati loro i veri generali alla testa dei due eserciti avversari.

GuidoReni_MichaelDefeatsSatan
San Michele Arcangelo dipinto da Guido Reni

Sulla base di questo lavoro possiamo provare allora a disegnare un itinerario di viaggio che, seguendo le tracce individuate dagli storici, ci porti alla scoperta di un tratto del Corridoio nella Provincia di Pesaro e Urbino e che, saltando tra zone Longobarde e Bizantine, ci conduca dal confine con l’Umbria seguendo i principali corsi fluviali fino alla Gola del Furlo e quindi al Mare Adriatico.
Il territorio su cui viaggeremo è sostanzialmente montuoso, in prossimità dell’estremità Nordoccidentale di due dorsali parallele alla costa, quella Umbro-Marchigiana e quella propriamente Marchigiana. La prima corre ai confini tra Marche e Umbria e comprende tra le vette principali i monti Catria, Nerone e Petrano, mentre le montagne che formano la Gola del Furlo (Pietralata e Paganuccio) appartengono alla Dorsale Marchigiana.
I fiumi principali scorrono invece perpendicolarmente alle catene montuose, creando a volte strette gole e a volte vallate più ampie. Il fiume Burano, il primo che incontreremo lungo il nostro percorso, nasce in Umbria e da qui, dopo aver attraversato la prima delle due dorsali, arriva nella città di Cagli. Continuando nella sua corsa verso il mare diventa affluente di un altro fiume, il Candigliano, anch’esso proveniente dall’Umbria, che a sua volta dopo avere tagliato come un rasoio l’anticlinale della seconda dorsale e aver formato così la Gola del Furlo, si getta nel più celebre fiume Metauro.

Via_Flaminia
Il percorso della Via Flaminia

Partiamo dunque da Pontericcioli, che si trova proprio lungo il corso del fiume Burano al confine della Provincia di Pesaro-Urbino, e che fu un’antica città Umbra successivamente conquistata dai Romani e diventata col tempo un importante centro di transito lungo la Via Flaminia. Pontericcioli si raggiunge da Fano seguendo la superstrada verso Fossombrone e Cagli, oppure da Gubbio e Scheggia se si proviene da Roma lungo la vecchia Flaminia. Oggi è un piccolo centro, che si fa notare per il Ponte Grosso di epoca Romana e per la sua possibile identificazione con l’importante municipio Romano di Luceoli istituito nel I secolo avanti Cristo. Già da qui studiando le tracce toponomastiche vediamo che l’alta vallata del Burano era sotto il controllo Ravennate e lo capiamo proprio da alcuni riferimenti a un’altra importante figura molto legata ai Bizantini, che si dice fu diretto discepolo di San Pietro e primo Vescovo di Ravenna, Sant’Apollinare.
Oltre il monte Petria, posizionato di fronte al più noto Catria e che separa Pontericcioli dalla frazione di Chiaserna, le cose erano ben diverse. La Chiesa di S. Anastasia nel centro del paese (Anastasia era una figura cara ai Goti, essendo riconducibile al culto della Resurrezione o Anastasis) e l’Abbazia di S. Angelo, che si trova nei pressi dell’abitato lungo la valle del torrente Bevano, ci indicano molto chiaramente che questa vallata era abitata da popoli di origini Barbare.
Procedendo verso Nord arriviamo così nel borgo di Cantiano, che si trova proprio al crocevia tra la “via Bizantina” lungo la valle del Burano e quella Longobarda proveniente da Chiaserna, e da qui proseguiamo per la frazione di Moria, paesino inerpicato sul versante Sud Ovest del Monte Petrano, dove ritroviamo un’altra Chiesa dedicata a S. Apollinare. A poca distanza, tra i due piccoli centri abitati di Caimarini e Caimercati, troviamo anche una località ancora oggi nota come Colle di S. Martino e questi evidenti riferimenti a Santi Bizantini ci fanno capire che il Corridoio passava proprio da qui. Il Monte Petrano era stato infatti fortificato in modo massivo dai Ravennati, anche se oggi ormai non ritroviamo che pochi resti di questo possente sistema difensivo a protezione della Flaminia e di Luceoli.

Guardando ancora a Nord, sul versante opposto di un altro affluente del Burano, il torrente Bosso (famoso per la sua gola e il suo museo geologico a cielo aperto), si innalza un altro importante massiccio montuoso della zona, il Monte Nerone, che era invece strenuamente presidiato dalle truppe longobarde come dimostrano le chiese dedicate a S. Michele Arcangelo di Cerreto e Fosto. Il primo è un piccolo centro che si raggiunge dal borgo di Pianello dirigendosi verso la cima del Nerone, il secondo è altrettanto piccolo ma si raggiunge dalla strada di collegamento che dall’abitato di Secchiano conduce verso Piobbico. Il Nerone sembra essere stato meno militarizzato con torri e castelli rispetto al Petrano, ma la cosa può verosimilmente essere spiegata col semplice fatto che i Longobardi erano comunque in maggioranza e non dovevano controllare uno stretto passaggio attraverso gli schieramenti nemici come invece erano costretti a fare i loro rivali.

Lasciamo la zona di influenza Longobarda e continuiamo a seguire il nostro varco che da Moria ci porta sulla cima del Petrano e, seguendo il suo dolce profilo e attraversando i pascoli sommitali, ci porta a ridiscendere dal versante opposto proprio nei pressi di Cagli.
Questa importante cittadina, pur essendo stato un caposaldo della difesa Bizantina, pullula di riferimenti Longobardi. Ritroviamo infatti oltre al “solito” S. Michele Arcangelo (diventato tra l’altro curiosamente anche parte dello stemma della città dopo che questa venne ricostruita e ribattezzata Sant’Angelo Papale da Papa Niccolò VI alla fine del 1200) anche riferimenti ad altre figure care ai Longobardi, come San Savino. Anche la gola del Bosso, che proprio a Cagli si unisce al Burano, era interdetta ai Ravennati, come dimostra la località di Ponte Staffolino (termine derivante dal tedesco antico “staffal”, cioè palo), così come non si poteva passare neppure dalla strettoia formata dal Burano tra il monte Tenetra e il Petrano. Sembra che Cagli (o Callis come veniva chiamata allora) fosse letteralmente circondata dai Longobardi ed è difficile qui intuire il passaggio di un varco tra le loro schiere. Seguendo però i nostri ormai amici toponimi, gli studiosi hanno rilevato un passaggio che scende dal Monte Petrano sulla Strada Flaminia poco fuori dalla cittadina, in direzione di Luceoli. Da qui si guadava molto probabilmente il Burano sulla riva destra aggirando i Longobardi stanziati attorno a Cagli per poi, nei pressi dell’abitato di Smirra, tornare sulla riva opposta.
La via proseguiva così fino a un altro importante caposaldo ormai scomparso ma protagonista di molto testimonianze, il Castrum di San Martino, che proteggeva la strada verso Fermignano, importante cittadina nella valle del Metauro. Dopo avere aggirato la Gola del Furlo si poteva così entrare nelle terre del Montefeltro (più tranquille e lontane dai confini coi Longobardi) per raggiungere Urbino e quindi Rimini.

Questo non era però l’unico percorso sicuro per i viaggiatori. Lo studio toponomastico porta infatti a pensare che vi fossero altri varchi attraverso gli eserciti longobardi e che esistessero diverse diramazioni del Corridoio. Tornando all’inizio del nostro viaggio per esempio, nella valle di Cantiano, vi sono tracce evidenti di un passaggio che dalla Pieve di S. Crescentino presso Balbano (risalente agli albori del Cristianesimo e famosa per conservare all’interno affreschi di notevole valore storico e artistico) svalicava verso un altro centro molto importante nella zona, Apecchio, aggirando così le truppe nemiche di stanza sul Nerone.
Scendendo più a valle invece, dopo il Furlo, se anzichè dirigersi a Rimini si era intenzionati a proseguire verso la più vicina componente della Pentapoli, Fano, si doveva forzatamente deviare passando dai centri abitati di Calmazzo e Canavaccio per poi seguire ancora la Flaminia fino appunto all’antica Fanum Fortunae. Interessante è notare come proprio in prossimità di Calmazzo esistesse una zona franca identificata nei pressi di S. Bartolomeo di Gaifa (Gaifa deriva dal termine longobardo waifa che significa “terra che non appartiene a nessuno”), cioè una zona in cui molto probabilmente per interesse comune o accordo tra le parti non si combatteva.

In tempi di sempre maggiore sviluppo del turismo lento e di nascita di percorsi sempre nuovi, credo che quella di progettare una via a tappe lungo il Corridoio Bizantino potrebbe rappresentare un’idea molto stimolante da mettere in pratica.
Ovviamente stiamo parlando di un’idea di itinerario abbastanza diverso da quelli proposti lungo le Vie Sacre e sorti spesso a traino del Cammino “maestro” di Santiago, ma credo che questo non renderebbe di certo il viaggio meno affascinante.
Non parliamo infatti di incamminarsi lungo una via di Pellegrinaggio penitenziale o devozionale ma di un percorso su un antico passaggio attraverso il quale per secoli sono transitati forzatamente a causa della guerra truppe e civili, lasciando testimonianze, costruendo fortezze e borghi e modificando in modo permanente la cultura e le tradizioni locali, e che come tale non può che offrire a un potenziale viaggiatore che voglia ripercorrerla oggi una miriade di contenuti e di spunti storici e religiosi, culturali e artistici, naturalistici e paesaggistici.
Non vanno dimenticate inoltre, sempre in un ipotetico viaggio slow in questo meravigliosa porzione di territorio nella Provincia di Pesaro-Urbino (sono di parte lo so..), le “terre nemiche” occupate dai Longobardi, che non sarebbero certo da meno rispetto a quelle Bizantine e meriterebbero sicuramente interessanti deviazioni e approfondimenti.
Quella che al tempo era la pericolosissima Gola del Furlo è infatti diventata oggi Riserva Naturale Statale, con tutta la sua bellezza e ricchezza che da sola meriterebbe il viaggio, così come i temibili bastioni Longobardi del Monte Nerone sono ora regolarmente occupati da escursionisti, ciclisti e rocciatori.
Per il momento comunque l’idea del Cammino sul Corridoio Bizantino rimane tale ed è possibile percorrere il nostro itinerario solo seguendo le tracce toponomastiche e non quelle dei segnavia. Possiamo per ora solo cercare di stuzzicare la curiosità e lo spirito avventuroso di chi vorrà provare a seguire i passi di un viaggiatore che nel VII secolo d.C. avesse cercato di arrivare da Roma all’Adriatico o viceversa, ma l’intenzione naturalmente rimane quella di riuscire a sviluppare l’idea ulteriormente nel prossimo futuro iniziando, perchè no, dalla realizzazione e pubblicazione di altri articoli con i segmenti del nostro potenziale Cammino raccontati in tutti i loro dettagli.

Per chi volesse approfondire i contenuti storici, geografici e toponomastici del Corridoio Bizantino e del territorio attraversato in Provincia di Pesaro e Urbino è da non perdere il libro da cui ho preso spunto per questo articolo e da cui vengono tutte le informazioni toponomastiche riportate. “Il Corridoio Bizantino al confine tra Marche e Umbria” è stato pubblicato nel 2014 ed è il risultato della ricerca approfondita e appassionata condotta dagli autori Giuseppe Dromedari, Gabriele Presciutti e Maurizio Presciutti, ai quali va un grazie tutto particolare.
Sul loro blog Ver Sacrum è possibile seguire gli aggiornamenti sulle ricerche all’interno del Corridoio, oltre che trovare molte notizie interessanti sulla storia e sulla cultura locale.

Lucio Magi – Ottobre 2015

Corso Sentieri del Furlo

Domenica 18 Ottobre presso il Centro Visite della Riserva Naturale Statale Gola del Furlo, il CAI di Pesaro terrà una lezione sulla lettura, interpretazione e utilizzo della Carta dei Sentieri.

Inizio alle 9, termine alle 13.
E’ prevista una lezione teorica e una parte pratica.

L’iniziativa è GRATUITA con PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA.

Per prenotare:

Tel. 0721 700041
Fax 0721 700057
email riservafurlo@provincia.ps.it

Qui sotto la locandina dell’iniziativa

cai 18-ok

Viaggiare in Nepal dopo la Costituzione

Il 20 Settembre il Nepal ha promulgato la sua nuova Costituzione in sostituzione di quella temporanea in vigore dal 2007, che era stata istituita a seguito dello storico passaggio dello stato Himalayano da Regno a Repubblica Federale.

La Costituzione del 2015 ha portato a numerose proteste e scontri, organizzati dalla coalizione composta dal maggiore partito dell’opposizione (Maoista) e quello rappresentante l’etnia dei Madhesi, che hanno avuto avuto come conseguenza la reazione della Polizia locale, e l’uccisione di oltre 40 persone.

La ragione fondamentale che ha portato alle proteste è ancora una volta di tipo etnico/religioso. Nel nuovo testo vengono infatti lasciate fuori le “minoranze” (i Madhesi costituiscono in realtà la metà della popolazione del Nepal..) indigene Tharu, Dalit e appunto Madhesi, che si aspettavano invece un pieno riconoscimento dopo anni di lotte assieme ai Maoisti nella Guerra Civile che ha insanguinato il Nepal negli anni 2000.
Inoltre viene specificato nella nuova Costituzione che il Nepal deve essere considerato uno stato laico, facendo infervorare gli Hinduisti (tra cui anche i Madhesi) che rappresentano oltre l’80% della popolazione.

In tutto ciò l’India, col pretesto di portare aiuto ai Madhesi che sono in prevalenza di origine Indiana, sta vedendo una grossa opportunità di aumentare la sua influenza sulla regione, e ha quindi (non ufficialmente) generato un “embargo” sulle vie di comunicazione da/verso l’Himalaya, da cui il Nepal dipende quasi totalmente per gli approvvigionamenti di ogni tipo.

Conseguenza sono rallentamenti nei voli interni e internazionali, e disagi in genere a tutti quanti viaggiano nel paese.
Ricordo inoltre che ancora vi sono regioni come il LangTang che sono state fortemente colpite dal terremoto di qualche mese fa, e che non sono ancora affatto pronte a ricevere i viaggiatori

indratrek

Valfucina-M. Faldobono-Elcito

Elcito 4/10/2015

Questo percorso permette di avere una bella panoramica generale sull’area della Riserva Regionale di Monte S. Vicino e Canfaito.

Si parte dall’Abbazia di Valfucina (750m), nelle vicinanze del borgo di Elcito (dove abbiamo parcheggiato le auto).
Valfucina era un potente monastero fondato probabilmente nei primi anni del XI secolo, che raggiunse l’apice dell’attività tra il 1227 e il 1236 quando estese le sue proprietà fino a Numana e Camerino. Secondo gli storici all’interno dell’Abbazia era presente anche una biblioteca.
Verso la metà del XIII secolo tutti i monasteri benedettini iniziarono un’opera di “riduzione dei costi” accorpando strutture per la il sempre minor numero di monaci e anche Valfucina accusò la crisi. Il suo ultimo abate resse il monastero fino al 1483.
L’abbazia è stata distrutta dal terremoto del 1799 e quella che si vede oggi è dei primi anni del 1800. E’ rimasta intatta solo la cripta, romanica.
Il castello di Elcito fu costruito probabilmente nel XII secolo a difesa di Valfucina e deve il suo nome ai boschi di leccio (“lecceto”).

Un grazie particolare a chi si è preso cura della segnaletica della zona. Fa veramente la differenza quando si percorrrono dei sentieri in perfetto stato come quelli che abbiamo trovato qui.

Seguendo il facile sentiero 209 che si inoltra lungo il fosso di Campocavallo si incontrano soprattutto roverelle, carpini, biancospini, noccioli e aceri. La salita è gradevole, non troppo ripida, e all’aumentare della quota aumenta il numero di faggi.

Si sale fino al Monumento di Canfaito (1079m), uscendo dal bosco e incontrando la strada che sale da Elcito e che continua attorno al S. Vicino fino a Pian dell’Elmo.

Facciamo una rapida deviazione sul piano di Canfaito per vedere i faggi monumentali, ci fermiamo per una sosta e continuiamo poi lungo il sentiero 165. Dal Monumento si prosegue per un breve tratto lungo la strada verso Pian dell’Elmo e quindi si prende a destra arrampicandosi sul pendio, seguendo il segno bianco-rosso e la freccia indicatrice.

Si attraversano le creste del Monte Forcella e Faldobono (1276m), dalla cima dei quali si gode di un vasto panorama che va dalla Gola della Rossa giù fino ai Sibillini e Gran Sasso, passando per le montagne di Esanatoglia. Lungo il percorso scorgiamo qualche Sorbo Montano.

Sempre seguendo gli impeccabili segni bianco-rossi si scende rientrando nel bosco dal versante NE del Monte S. Vicinello, seguendo quasi di continuo una recinzione di filo spinato.
All’uscita del bosco perdiamo i segni ma seguiamo l’evidente traccia che scende ancora verso la nostra destra seguendo il fosso attraverso il bosco e che ci porterà, dopo avere reincontrato i segni più avanti, alla fonte dei Trocchi di S. Vicino.

Passiamo il fosso e continuiamo all’interno del bosco fino a reincrociare la strada che ci riporterà a Elcito. Abbiamo scelto di proseguire sulla strada nell’ultimo tratto, ma in alternativa è possibile rientrare a Elcito dal sentiero che attraversa il Monte La Pereta e scende direttamente tra le rocce del borgo.

Dati Tecnici
Dislivello totale 643m
Distanta totale 13,82km
Tempo di percorrenza 6h

Elcito si raggiunge percorrendo la SP2 che unisce Apiro a San Severino Marche. Si raggiunge la frazione di Castel S. Pietro, dove si imbocca la strada che sale per circa 5km fino al borgo.

Tracce
Percorso ideato originalmente

http://it.wikiloc.com/wikiloc/view.do?id=10800500

Percorso reale, saltando la vetta del San Vicino e aggiungendo Canfaito

http://it.wikiloc.com/wikiloc/view.do?id=11003358

Alcune foto sono disponibili su Flickr

Appuntamento alla prossima uscita!

DSC_5574

DSC_5577

DSC_5581

DSC_5586

DSC_5562

DSC_5569

Modulo Emergenze in Montagna

Il Progetto Rete Radio Montana (di cui ricordo faccio parte con l’identificativo KILO 13) ha avviato questo progetto che ritengo molto utile e soprattutto importante per la sicurezza di chi va in montagna.
E’ stato creato un modulo (scaricabile da tutti a questo link) che può essere da parte di accompagnatori o escursionisti per facilitare una eventuale operazione di soccorso in caso di necessità.

Il modulo è composto da due parti, una che va lasciata esposta sul cruscotto dell’auto parcheggiata all’inizio del percorso, che deve contenere tutte le informazioni relative all’itinerario che si intende percorrere e che possono essere vitali nel risparmiare tempo ai soccorritori.
La seconda parte contiene invece un utile vademecum su cosa si deve fare esattamente al momento di contattare la centrale operativa per la richiesta di soccorso.

GRAZIE RERAMONET

24

banner_verticale_rrm

I Naturalisti Raccontano

E’ interessante segnalare questa serie di incontri proposti dall’Associazione Naturalistica Argonauta in collaborazione con la Lupus in Fabula.

Gli incontri si terranno presso Casa Archilei a Fano.

Di seguito la scaletta (potete trovare altri dettagli sul sito della Lupus):

2 ottobre ore 18: Dal lupo … al lupo – Vittorie e sconfitte con la natura
Racconta Andrea Pellegrini

9 ottobre ore 18: Pancia a terra, siamo serpenti! Incontri e (dis)avventure in natura e in città
Racconta Andrea Fazi

11 ottobre ore 11: Tra erbacce e bagarozzi camminando lungo il Metauro
Racconta Leonardo Gubellini

16 ottobre ore 18: Le quattro stagioni allo Stagno
Raccontano Vanessa Lucchetti e Simone Bai

Nikon Live! 2015 ad Ancona

Quest’anno una delle cinque tappe del Nikon Live Tour passerà per Ancona, Sabato 21 Novembre 2015, presso il teatro delle Muse (link)

Sarà una grande occasione per tutti gli appassionati di fotografia per incontrare i professionisti Nikon, oltre che per testare attrezzature e vedere direttamente dai tecnici quali sono i nuovi sviluppi tecnologici.

Chi desidera mettere in gioco le proprie foto e sottoporle al giudizio dei critici per misurare il proprio talento dovrà registrarsi molto in fretta (solo i primi 18 potranno effetivamente avere questo privilegio).

Qui di seguito il programma della giornata (direttamente dal sito Nikon):

  • Open day espositivo dalle 10:00 alle 20:00 dove il pubblico potrà confrontarsi direttamente con i tecnici NIKON e con le Aziende partners e testare i prodotti.
  • AUDITORIUM: dieci ore non stop con i migliori fotografi italiani. Una full immersion per arricchire la propria cultura fotografica ed ampliare i propri orizzonti.
  • SALA Plenaria PRO, in cui la tecnica fotografica diventa l’elemento guida: 10 interventi di altissimo livello sulle nuove tecnologie imaging.
  • Sala pose dove sarà possibile sperimentare e provare le migliori attrezzature sotto la guida di esperti Professionisti del settore, con l’aiuto di splendide modelle.
  • Lettura portfolio: se desideri mettere alla prova il tuo talento sottoponi il tuo portfolio all’analisi dei critici.

Il tutto GRATUITAMENTE!!

Per registrarsi è sufficiente seguire le istruzioni riportate al seguente link

nikonlive

Passamontagne

Passamontagne, di cui ho scoperto l’esistenza al Rifugio Franchetti durante l’escursione al Gran Sasso, è un iniziativa del 2014 che si propone di promuovere il territorio e in particolar modo le montagne dell’Appennino Settentrionale e Centrale.

L’obiettivo è la collaborazione tra le associazioni dei gestori di rifugi dell’Appennino e si prefissa di mettere in comunicazione le strutture in una sorta di grande rete. Come si legge sul sito

L’iniziativa tocca numerosi Parchi e diverse aree protette, dall’Appennino settentrionale a quello centrale: i Parchi Nazionali dell’Appennino Tosco Emiliano, del Gran Sasso e dei Monti della Laga, della Maiella, il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e il Parco dei Monti Sibillini.
Tanti anche i Parchi Regionali: il Parco delle Alpi Apuane, quello dell’Alto Appennino Modenese, del Sirente-Velino e del Frignano, oltre ad alcune Riserve Naturali come l’Orecchiella e l’Orrido di Botri.

Mi sembra un’iniziativa molto interessante per vivere i nostri rifugi in maniera diversa, come centri di cultura e di incontro oltre che di supporto, proponendo anche di affiancarsi ai gestori nel lavoro quotidiano.

Per favorire il turismo e la frequentazione è stata creata anche una carta (“Passpartour“) valida come documento di viaggio, in cui gli escursionisti possono registrare le loro presenze e tappe nei vari rifugi che partecipano alla rete.

Andando a vedere l’elenco degli aderenti all’iniziativa ho però scoperto a malincuore che non era elencato nessun rifugio nelle Marche.
Speriamo che Passamontagne venga proposto ancora negli anni a venire e che si riesca a coinvolgere sempre più strutture anche nel nostro territorio!

passamontagne

Gran Sasso d’Italia, com’è andata

Sono stati due giorni stupendi, iniziati in verità con qualche piccolo disguido che aveva addirittura creato inizialmente dei turbamenti e ripensamenti in qualcuno, e che poi si è rivelato invece fonte di inevitabili prese in giro per il povero “prenotatore”… Il Rifugio Franchetti è una vera perla che da solo merita la fatica, ma il progetto originale di pernottare in tenda li fuori era in verità un po’ troppo “estremo”.
Le tende le montiamo invece alla Laghetta, di fianco alla pozza dove un branco di cavalli si raduna per bere al calar del sole. Il tramonto è favoloso, ma ancora più bella è l’alba che alcuni di noi (che non riescono a dormire svegliati dal ruminare dei quadrupedi che brucano l’erba attorno alle tende) hanno la fortuna di godersi. Con la luce del mattino si vede bene il rifugio, un po’ meno di mille metri di dislivello più su, arroccato nella roccia della valle delle Cornacchie in una posizione da brividi.
Poco dopo l’alba alcune altre tende vicino a noi iniziano ad animarsi, e arrivano anche i primi gruppi di scalatori, pieni di corde, che si preparano per la risalita a piedi fino alla base delle vie di roccia.

DSC_4711

Facciamo colazione e ci incamminiamo seguendo il Sentiero Italia su percorso comodo e panoramico verso la Madonnina , punto di arrivo della seggiovia di Prati di Tivo dove recuperiamo i due “sfaticati” che si sono offerti volontari per lasciare la macchina al punto di arrivo del percorso. Poco più avanti già inizia la roccia e la salita vera, che ci accompagnerà zigzagando fino al Franchetti. Appena sotto il rifugio abbiamo anche la buona sorte di un incontro abbastanza ravvicinato con un camoscio che, dopo avere dato un’occhiata prolungata a noi poveri umani che saliamo con tanta fatica, si allontana sulla neve.

Il panorama dal pontile del rifugio è toglifiato. Si scorge il punto di partenza e la seggiovia sotto di noi, mentre in alto vediamo a destra il Corno Piccolo e davanti e a sinistra le vette orientale e centrale del Grande. Nuda roccia e lingue di neve, pura natura.

DSC_4744

Siamo a due terzi della salita, ci fermiamo per un breve rifornimento energetico e caffeinico e ripartiamo verso la Sella dei Due Corni. Continuiamo ancora per un po’ e deviamo a sinistra per vedere il ghiacciaio del Calderone. Sopra di noi il sentiero che unisce le vette, da dove qualche temerario sta già scendendo. Dopo una breve sosta torniamo indietro e riprendiamo il sentiero principale che continua verso l’alto.
Più avanti rischiamo anche di doverci dividere, ma Robi e Marco si prendono carico di fare salire la povera Gaia sul breve tratto di ferrata, e lei si affida a loro senza fare una piega. Eroica.

Siamo quasi in cima, ci manca un ultimo pezzo. Sui ciottoli maledetti e in mezzo alle rocce affilate non c’è un vero sentiero e bisogna un po’ improvvisare. Inoltre qui la via si unisce a quella che proviene da Campo Imperatore e c’è talmente tanta gente da dovere in qualche punto doversi fermare per permettere il passaggio in senso alternato.
Finalmente arriviamo, la sensazione della vetta è sempre bella, porta il morale alle stelle e non fa sentire la fatica. Riusciamo anche a conquistarci uno spazio per mangiare vicino alla croce e possiamo riposare un po’ in mezzo a gente tanto diversa. Romani, abruzzesi, stranieri teutonici e orientali, perfino due “pseudoalpini” con tanto di cappello pennato. Il tempo di scattare qualche foto e scrivere qualche minchiata nel librone della vetta che tanto nessuno leggerà mai e cominciamo la discesa.

DSC_4786

Prendiamo tutti la via della splendida cresta, tranne Robi e la Gaia che giustamente scendono per il ghiaione. La cresta è lunga e esposta e occorre rimanere sempre concentrati. Sotto di noi a sinistra ci sono il Monte Aquila, il rifugio Duca degli Abruzzi e Campo Imperatore, mentre sulla destra la Val Maone (dove dovremo scendere) sembra ancora quasi solo una fessura. Finita la cresta ci riuniamo e continuiamo la discesa spaccagambe sul ghiaione. Il sole picchia, molti di noi hanno calcolato male le riserve idriche e ci dobbiamo arrangiare con la neve.
Prendiamo la deviazione a destra che porta al Rifugio Garibaldi e scopriamo all’arrivo che è aperto (prima volta sembra da sette anni a questa parte). Un vero colpo di fortuna perchè la sete si cominciava davvero a far sentire.
Continuiamo lungo la val Maone, magnificamente intarsiata tra il massiccio dei Due Corni e il Pizzo Intermesoli da un corso d’acqua invisibile. Lungo questa parte del Sentiero Italia ci si trova in mezzo a tanti fiori e piante diverse (vero Claudio??) e la discesa si fa anche molto più agevole (vero Elisa??).
Proseguiamo seguendo e maledicendo i segnali che continuano a dare Prati di Tivo a un’ora e mezza di distanza, fino alla Sorgente del Rio Arno (unica fonte durante la discesa) e poi, dopo avere seguito brevemente il torrente fino alla forra e dopo un ultimo tratto in salita (che come disse Robi in un momento di saggezza appannata dalla fatica, “serve a ricordare che non bisogna mai abbassare la guardia”), siamo finalmente di ritorno a Prati di Tivo.

Grazie a Marco per la sua guida sempre oggettiva e realistica (…) e speriamo che ci voglia ancora con sè in qualche altro giro altrettanto indimenticabile!

Alcune foto sono pubblicate nello spazio Indratrek su Flickr.com

Tibet – Shoton Festival

Lo Shoton (Sho Dun) Festival viene celebrato ogni anno presso il palazzo Norbulingka di Lhasa, l’antica residenza estiva del Dalai Lama. La data d’inizio cade dal 15 al 24 del quinto mese del calendario lunare tibetano, di solito molto vicino a Ferragosto. Nel 2015 lo Shoton festival verrà celebrato il 14 Agosto

La tradizione vuole che questa celebrazione, nota anche come Festival dello Yogurt, abbia avuto origine nell’ XI secolo come festa religiosa, e solo nel XVII secolo il quinto Dalai Lama vi introdusse rappresentazioni del teatro Tibetano rendendolo di fatto un galà nazionale.

Il festival consiste di 3 parti principali:
– esposizione di gigantesche tangke del Buddha
– gli spettacoli del Teatro Tibetano
– la corsa degli Yak

shotonbuddha2

shotonbuddha1

Breve storia del festival
Shoton è la traslitterazione di due parole tibetane, Sho (yogurt) e Ton (banchetto).
Nell’XI secolo Atisha, grande maestro Buddhista del Bangladesh, venne invitato in Tibet per rivitalizzare il Buddhismo (introdotto secoli prima da Padmasambhava) che da due secoli era stato dimenticato a causa anche delle innumerevoli guerre intestine. Dopo decenni di duro lavoro il Buddhismo ritornò così al suo antico splendore e Atisha divenne un maestro molto venerato dal popolo.
Atisha e i suoi discepoli seguivano alla lettera in particolare una delle correnti del Buddhismo, che proibisce di uccidere qualsiasi essere vivente. Per questo rimanevano per tutta la primavera (periodo in cui tutte le creature escono allo scoperto alla ricerca di cibo) chiusi nel loro monastero in meditazione, per evitare di calpestare anche il più piccolo e invisibile degli insetti. Questo periodo di meditazione, che corrisponde all’incirca ai nostri mesi da Aprile a Giugno, viene chiamato in tibetano Yale. Il rimanere isolati nel monastero per un così lungo periodo portava però anche dei grandi disagi, primo tra tutti la mancanza di cibo. Così per ringraziare i monaci alla fine del loro periodo di clausura, migliaia di persone accorrevano in massa al monastero per offrire il loro yogurt fatto in casa, e così nacque la ricorrenza dello Shoton.
Nel 1642 prese il potere in Tibet la setta dei Gelupa (i Berretti Gialli) e il quinto Dalai Lama divenne il leader politico e religioso di tutto il Tibet. Egli era un appassionato di teatro, e fu sotto il suo mandato che questo venne introdotto nel festival di Shoton. In origine il teatro veniva rappresentato solo nel monastero di Drepung ed era aperto solo ai lama e alla nobiltà. Il settimo Dalai Lama costruì poi il Norbulingka nel 1720 come residenza estiva e fu li che venne spostato il “palcoscenico” e che il teatro tibetano divenne aperto a tutti.

shoton3

shoton2

shoton1

Per altre informazioni visitare il sito shotonfestival.com
(questo articolo è per gran parte una libera traduzione del contenuto del sito stesso)

AMITABA propone un viaggio in Tibet con partenza l’8 Agosto che include anche lo Shoton festival.
Per ulteriori informazioni visitate il sito al seguente link

amitaba