Gran Sasso d’Italia, com’è andata

Sono stati due giorni stupendi, iniziati in verità con qualche piccolo disguido che aveva addirittura creato inizialmente dei turbamenti e ripensamenti in qualcuno, e che poi si è rivelato invece fonte di inevitabili prese in giro per il povero “prenotatore”… Il Rifugio Franchetti è una vera perla che da solo merita la fatica, ma il progetto originale di pernottare in tenda li fuori era in verità un po’ troppo “estremo”.
Le tende le montiamo invece alla Laghetta, di fianco alla pozza dove un branco di cavalli si raduna per bere al calar del sole. Il tramonto è favoloso, ma ancora più bella è l’alba che alcuni di noi (che non riescono a dormire svegliati dal ruminare dei quadrupedi che brucano l’erba attorno alle tende) hanno la fortuna di godersi. Con la luce del mattino si vede bene il rifugio, un po’ meno di mille metri di dislivello più su, arroccato nella roccia della valle delle Cornacchie in una posizione da brividi.
Poco dopo l’alba alcune altre tende vicino a noi iniziano ad animarsi, e arrivano anche i primi gruppi di scalatori, pieni di corde, che si preparano per la risalita a piedi fino alla base delle vie di roccia.

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Facciamo colazione e ci incamminiamo seguendo il Sentiero Italia su percorso comodo e panoramico verso la Madonnina , punto di arrivo della seggiovia di Prati di Tivo dove recuperiamo i due “sfaticati” che si sono offerti volontari per lasciare la macchina al punto di arrivo del percorso. Poco più avanti già inizia la roccia e la salita vera, che ci accompagnerà zigzagando fino al Franchetti. Appena sotto il rifugio abbiamo anche la buona sorte di un incontro abbastanza ravvicinato con un camoscio che, dopo avere dato un’occhiata prolungata a noi poveri umani che saliamo con tanta fatica, si allontana sulla neve.

Il panorama dal pontile del rifugio è toglifiato. Si scorge il punto di partenza e la seggiovia sotto di noi, mentre in alto vediamo a destra il Corno Piccolo e davanti e a sinistra le vette orientale e centrale del Grande. Nuda roccia e lingue di neve, pura natura.

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Siamo a due terzi della salita, ci fermiamo per un breve rifornimento energetico e caffeinico e ripartiamo verso la Sella dei Due Corni. Continuiamo ancora per un po’ e deviamo a sinistra per vedere il ghiacciaio del Calderone. Sopra di noi il sentiero che unisce le vette, da dove qualche temerario sta già scendendo. Dopo una breve sosta torniamo indietro e riprendiamo il sentiero principale che continua verso l’alto.
Più avanti rischiamo anche di doverci dividere, ma Robi e Marco si prendono carico di fare salire la povera Gaia sul breve tratto di ferrata, e lei si affida a loro senza fare una piega. Eroica.

Siamo quasi in cima, ci manca un ultimo pezzo. Sui ciottoli maledetti e in mezzo alle rocce affilate non c’è un vero sentiero e bisogna un po’ improvvisare. Inoltre qui la via si unisce a quella che proviene da Campo Imperatore e c’è talmente tanta gente da dovere in qualche punto doversi fermare per permettere il passaggio in senso alternato.
Finalmente arriviamo, la sensazione della vetta è sempre bella, porta il morale alle stelle e non fa sentire la fatica. Riusciamo anche a conquistarci uno spazio per mangiare vicino alla croce e possiamo riposare un po’ in mezzo a gente tanto diversa. Romani, abruzzesi, stranieri teutonici e orientali, perfino due “pseudoalpini” con tanto di cappello pennato. Il tempo di scattare qualche foto e scrivere qualche minchiata nel librone della vetta che tanto nessuno leggerà mai e cominciamo la discesa.

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Prendiamo tutti la via della splendida cresta, tranne Robi e la Gaia che giustamente scendono per il ghiaione. La cresta è lunga e esposta e occorre rimanere sempre concentrati. Sotto di noi a sinistra ci sono il Monte Aquila, il rifugio Duca degli Abruzzi e Campo Imperatore, mentre sulla destra la Val Maone (dove dovremo scendere) sembra ancora quasi solo una fessura. Finita la cresta ci riuniamo e continuiamo la discesa spaccagambe sul ghiaione. Il sole picchia, molti di noi hanno calcolato male le riserve idriche e ci dobbiamo arrangiare con la neve.
Prendiamo la deviazione a destra che porta al Rifugio Garibaldi e scopriamo all’arrivo che è aperto (prima volta sembra da sette anni a questa parte). Un vero colpo di fortuna perchè la sete si cominciava davvero a far sentire.
Continuiamo lungo la val Maone, magnificamente intarsiata tra il massiccio dei Due Corni e il Pizzo Intermesoli da un corso d’acqua invisibile. Lungo questa parte del Sentiero Italia ci si trova in mezzo a tanti fiori e piante diverse (vero Claudio??) e la discesa si fa anche molto più agevole (vero Elisa??).
Proseguiamo seguendo e maledicendo i segnali che continuano a dare Prati di Tivo a un’ora e mezza di distanza, fino alla Sorgente del Rio Arno (unica fonte durante la discesa) e poi, dopo avere seguito brevemente il torrente fino alla forra e dopo un ultimo tratto in salita (che come disse Robi in un momento di saggezza appannata dalla fatica, “serve a ricordare che non bisogna mai abbassare la guardia”), siamo finalmente di ritorno a Prati di Tivo.

Grazie a Marco per la sua guida sempre oggettiva e realistica (…) e speriamo che ci voglia ancora con sè in qualche altro giro altrettanto indimenticabile!

Alcune foto sono pubblicate nello spazio Indratrek su Flickr.com