Il Monte Senza Zucchero

Qui di seguito le due interpretazioni (mia e di Luca) dell’avventura in Majella ascendendo il Monte Amaro, o “monte senza zucchero” come mi sono divertito a chiamarlo per mio figlio.

Su Flickr alcune foto, scattate questa volta con una compatta quindi la qualità non è la solita, ma lo zaino era davvero pesante quindi non c’era molta scelta.

Su Wikiloc la traccia del percorso presa con il mio localizzatore GPS SPOT, quindi anche qui la precisione non è perfetta, ma anche questa volta “Salvatore” (come lo chiamiamo noi) ha fatto il suo dovere, facendo stare tranquilli (quasi..) tutti a casa.

Lucio

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La vista dall’alto del canalone della Rava del Ferro non promette niente di buono, siamo già scesi diverse centinaia di metri ma la strada verso il fondo è ancora molto, molto lunga..

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I chili dello zaino si fanno sentire sulle spalle e anche le ginocchia cominciano a dare qualche segno di stanchezza, rendendo l’avanzare sui ciottoli molto faticoso sia fisicamente che mentalmente. Bisogna fermarsi spesso, togliere lo zaino ogni tanto e rimanere sempre positivi, piano piano il fondo valle arriverà.

Questo bellissimo canyon di roccia e sassi (Rava come lo chiamano da queste parti) scorre tra enormi pareti e balze verticali. Il sentiero in pratica non esiste e in alcuni punti si deve sciare letteralmente sui sassi per scendere. Di certo la mancanza di una pista tra la ghiaia e le pietre mobili rendono il paesaggio naturale solo più bello ma non per questo la fatica si fa sentire di meno. Bisogna stare li con la testa per evitare di cadere e farsi male. Con mia grande sorpresa incrociamo anche due gruppi che risalgono la Rava in senso opposto al nostro. Credevo che nessuno fosse così matto da avventurarsi verso la cima passando da qui col caldo pomeridiano (forse sono davvero stanco..), inoltre hanno stuoie e sacchi a pelo e di certo contano di passare un sabato sera alternativo al Bivacco Pelino. Certo che bisogna anche ringraziarla la fatica perché ogni volta che ci si ferma non si può fare a meno di venire rapiti dalla bellezza del luogo. Se non ci si fermasse così spesso si perderebbe molto dei fiori cha saltano fuori improvvisamente dalle rocce e dei piccoli boschetti di pino mugo.

La discesa nella Rava è stato sicuramente la parte più impegnativa di tutto il nostro itinerario attorno al versante Ovest della Majella Madre, peraltro veramente spettacolare.

L’idea del giro in Majella era venuta per cercare di ripetere l’esperienza fatta dai nostri amici Claudio e Roberto lo scorso anno partendo da Fara San Martino, ma dopo la “mazzata” che ci hanno raccontato decidiamo di fare qualcosa di meno duro, un itinerario che ci permetta di dormire in tenda un paio di notti ma che ci faccia anche gustare senza soffrire troppo questa fantastica montagna. Io trovo qualche spunto e Luca come al solito si getta alla ricerca di informazioni preziose sui social e sul web. Alla fine mettiamo assieme i risultati e decidiamo l’itinerario, anche se nessun altro dei nostri si convince a venire per paura soprattutto del caldo e della mancanza di acqua in alto. Noi non molliamo e alla fine, pur non essendo una passeggiata perché sono comunque 2000 metri di dislivello per oltre 20 chilometri di cammino, devo dire che siamo fortunati e anche bravi nell’organizzare la logistica, fidandoci soprattutto dei consigli di chi qui è di casa, e alla fine tutto riesce (quasi..) alla perfezione.

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Partiamo nel primo pomeriggio da Fonte Nunzio, nei pressi di Campo di Giove, sapendo di dover fare solo un breve tratto in salita (circa 600 metri di dislivello per pochi chilometri) per poter così “saggiare” gli zaini e il peso durante il cammino. Attraversiamo il bosco fino alla Fonte dell’Orso, dove sappiamo esserci acqua e ci fermiamo poco più in alto, nel piccolo altopiano che rappresenta l’unica area pianeggiante lungo tutta la salita, dove montiamo le tende. Incontriamo qui di nuovo i nostri unici compagni di salita, un gruppo di ragazzi olandesi in viaggio attraverso l’Italia con tanto di furgone e rimorchio, che decidono di passare la notte in cima all’Amaro. Sono partiti tardi per la cima, alcuni sono in pantaloni corti, maglietta e sandali e un pochino ci preoccupiamo per loro, ma non sembrano farsi tanti problemi. Appena piantata la tenda sopra di noi il cielo si rannuvola decisamente (poveri olandesi) e anche nella valle sottostante l’aria si addensa molto. Ci gustiamo lo spettacolo dal nostro spazio privilegiato mentre mangiamo la nostra “cena di pesce” su una roccia. Le nuvole a tratti salgono verso di noi, ci coprono per un attimo per poi scomparire di nuovo, sopra è tutto nero e non sappiamo se sta piovendo, mentre nella valle il mare di nubi si espande e si ritira. Per completare lo spettacolo proprio di fronte il Monte Mileto lascia passare gli ultimi raggi del sole al tramonto tra le nuvole.

La notte in tenda dormo sempre poco e in più ogni tanto mi sembra anche di avvertire la presenza di qualche animale incuriosito, ma forse è solo il vento che muove i lembi della tenda fissati in modo non proprio professionale. Il mattino siamo comunque riposati e abbastanza in forma, fa abbastanza freddo e dopo una colazione veloce scendiamo verso la fonte a fare rifornimento d’acqua, visto che non la troveremo più fino a sera. Iniziamo così la parte più dura della scalata verso la cima dell’Amaro, il clima è ideale, fresco visto che c’è ancora la montagna che ci copre dal sole, e così riusciamo in un paio d’ore ad affrontare la parte più ripida fino al Fondo di Femmina Morta. Ci riposiamo un po’ e incontriamo i nostri amici olandesi che rientrano al loro furgone per continuare, ci dicono, fino a Venezia e alle Dolomiti. Hanno passato la notte nella Grotta Canosa perché dicono che il bivacco non era in condizioni molto ospitali. Il paesaggio quassù a 2500 metri è spettrale, sembra solo un immenso deposito di ciottoli e pietra con il grigio che domina su tutto, ma guardando bene si vedono spuntare tantissimi fiori di ogni tipo e colore dappertutto. Percorriamo tutta la Valle glaciale di Femmina Morta su terreno quasi pianeggiante e presto compare sullo sfondo il Monte Amaro, con il caratteristico puntino rosso del Bivacco Pelino appoggiato proprio vicino alla sommità.

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Si è immersi in un panorama e un’atmosfera davvero particolari, non mi viene in mente nessuna somiglianza ad altre montagne che conosco. Finito l’altopiano la vista può spaziare verso Est sulla valle di Fara e sui monti vicini (Rotondo, Pomilio, S. Angelo) che invece a tratti mi ricordano stranamente il Wadi Rum o il deserto dell’ovest americano. Saliamo in cima, c’è ancora qualche chiazza di neve a dimostrare che il caldo che tanto si temeva non c’è proprio. La brezza da nord ci ha accompagnato per tutto l’altopiano e per l’ultima parte di salita, rendendo il cammino davvero piacevole. Il bivacco Pelino fa scena da lontano ma da vicino non è un gran che. Soprattutto le condizioni all’interno sono abbastanza tristi, non capisco proprio come chi faccia tanta fatica a portare fin quassù bottiglie di plastica piene d’acqua da 2 litri poi non trovi la forza per riportarle indietro vuote.. Si vede che la vetta è molto frequentata, ci si arriva da più versanti e dal rifugio Pomilio, e avendo questo appoggio del bivacco molta gente viene qui a passare la notte, ma un rifugio di emergenza non può essere adibito a discarica , è davvero vergognoso.

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Con l’avanzare della giornata le nuvole si addensano ancora, non c’è più l’azzurro totale  del mattino. Pranziamo di fianco al bivacco e quindi iniziamo la discesa alla ricerca del bivio per la Rava del Ferro. Finora è stato tutto perfetto, segni rifatti da poco su tutti i sentieri e le carte che ho, seppur vecchie di qualche anno, sono fedeli. Qui però i pur bravissimi responsabili della segnaletica del parco ci giocano uno scherzetto, decidendo di “rinominare” un paio di sentieri con sigle precedentemente appartenute ad altri percorsi. Ci troviamo quindi al nostro incrocio ma la segnaletica indica B5 e non B7 come nella mia carta e nessun segnavia indica la direzione della Rava del Ferro. OK ci può stare la mancanza del cartello, peccato però che nella mia carta (ufficiale del Parco) il B5 è il sentiero che porta sulla cresta del Pesco Falcone, e quindi penso che siamo andati troppo avanti, non abbiamo visto la svolta. Torniamo indietro immersi nelle nuvole che non rendono certo la ricerca facile e perdiamo quasi un’ora fino ad arrivare alla conclusione (grazie soprattutto al GPS di Luca) che l’incrocio che avevamo trovato in prima battuta era quello giusto..
Alla fine del canalone della Rava del Ferro (oltre 3 ore di discesa) si arriva a una strada chiusa. Il nostro piano è di raggiungere il rifugio della Fonte della Chiesa dove sappiamo esserci acqua e dove abbiamo intenzione di fermarci per la notte, ma un gentilissimo motociclista ci indirizza invece verso la Fonte della Lama Bianca, una radura fatata dove piantiamo (si fa per dire, visto che i sassi del sottofondo non sono proprio d’accordo a farsi infilare dai picchetti) senza indugio le tende, immersi nel silenzio della faggeta.
Dopo cena rimane ancora  un po’ di tempo prima di crollare per studiare il percorso finale per l’indomani. Tagliando attraverso il bosco arriviamo così al sentiero per il Passo di S. Leonardo, da dove con pochi chilometri di strada torniamo al punto di partenza per chiudere questo magnifico anello.

Lucio Magi – Agosto 2016

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Di sicuro è stata la mia prima avventurosa (wild): stare tre giorni in montagna, camminare su valli, cime e boschi dormendo due notti in tenda non lo avevo mai fatto, eppure non era la prima volta, non saprei il perché forse perché in montagna ci sono spesso, forse per il ricordo di quelle poche volte che da ragazzino ho dormito nella tenda, oppure perché è una cosa che mi ha sempre attirato e sento dentro e l’avventura in Majella è solo la sua estrinsecazione. Non saprei dirlo meglio di così cioè la prima volta ma che lo avevo già fatto tantissime altre volte.

Siamo partiti la mattina poco dopo le 8, Lucio saluta affettuosamente i suoi figli, gioca scherza e saliamo in macchina, non sapevamo nulla di cosa avremmo trovato, il percorso ovviamente lo abbiamo guardato nella carta, studiato le fonti di acqua, ma fino a quando non sei li non lo sai! E noi due non eravamo mai stati in Majella, la nostra meta il monte Amaro, come ha detto Lucio a Bisti il monte senza zucchero!

Arriviamo a Pacentro, molto bello e meriterebbe una visita, ma noi ci mangiamo un bel piatto di pasta, e poi via a prendere il sentiero, il P5 da fonte nunzio per arrivare fino alla fonte dell’orso e piantare le tende poco sopra a 1800 metri!

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Apriamo due scatolette per cena e ci gustiamo il panorama! Osserviamo e cerchiamo di capire come si muovono le nuvluca2ole, sembra quasi che quello che abbiamo studiato lo possiamo finalmente vedere, chiacchieriamo e intorno le 21, 30, dopo il bellissimo tramonto sul Gran Sasso, si va a dormire.

Soffro un po’ il freddo ma tutto sommato riesco a fare delle ore di sonno, alle 5 ci si sveglia si fa colazione, si va a prendere l’acqua alla fonte dell’orso e via zaino in spalle (non l’ho pesato ma leggero non era). Ci si incammina verso la forchetta della Majella, incrociamo il P1 e via si sale e ci si riposa, è presto siamo ad ovest quindi il sole ancora non ci raggiunge! Avanziamo  verso la valle della femmina morta, fino a vedere quell’astronave (come qualcuno l’ha definito) arancione ossia il Pelino! arriviamo alla grotta Canosa, per fare l’ennesima pausa, con lo zaino distruggo un omino che poi ricostruiamo e via l’ultimo sforzo fino ala cima del Monte Amaro, il Monte senza zucchero.

 

Inutile dire che il paesaggio è spettacolare ed originale!

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Dopo aver mangiato i nostri panini ci mettiamo in cammino per scendere a valle, un po’ di incertezze per trovare la Rava del Ferro, a causa di una vecchia carta con numerazioni non più corrispondenti alla segnaletica, ma presto si comincia a scendere e presto ci siamo accorti di che tipo di discesa fosse e di quanto ancora dovessimo faticare. 1500m di discesa su rocce, ghiaione non sono uno scherzo soprattutto con quei kili sulle spalle! Però arriviamo in fondo, fino alla Lama Bianca!

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Desideravo una fonte, sapevamo che c’erano diverse fonti, ma non sapevamo che quando saremmo arrivati li la forza per cercare quella che buttasse l’acqua non c’era! Grazie alle indicazioni di un   motociclista siamo arrivati presto alla fonte della lama bianca o meglio Persechillo! Abbiamo bevuto, ci siamo rinfrescati e abbiamo pernottato. La seconda notte è andata meglio, non era freddo ed eravamo in una faggeta meravigliosa, un letto di foglie.

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Il terzo ed ultimo giorno abbiamo proseguito verso SUD, indicazione regalataci dal tramonto della sera prima, attraversando il bosco con l’aiuto della carta e GPS per andare a prendere il sentiero Q1 che ci avrebbe condotti attraverso dei pratoni sulla strada poco prima di dove avevamo parcheggiato l’auto.

Era la prima volta che facevo una cosa che ho sempre fatto.

Luca Bragina – Agosto 2016

 

Traversata dello Sciliar

A che ora mettiamo la sveglia?

Ci alziamo e facciamo colazione, inutile dire che il latte appena munto che hanno preso Roberto e Giordana nella stalla sotto casa è favoloso. Usciamo, ci mettiamo gli scarponi e cominciamo a camminare….
Non sapevo molto sul percorso, perché abbiamo deciso di partire all’ultimo momento! Stavamo preparando un’escursione sul Monte Amaro in Majella (solo rimandata) ma il meteo ci ha fatto cambiare luogo. Roby la zona dello Sciliar la conosce visto che lo zio ha una casa, casa che gentilmente ha messo a diposizione per noi.
 
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Umes ancora dorme, saliamo la strada e prendiamo il sentiero nel bosco, Roby e Danilo aprono il percorso, io sto in mezzo e aspetto Marisella e Gio, si cammina dentro un’abetina molto bella, la pendenza non scherza ma nemmeno il panorama! Poco dopo arriviamo all’hotel Alp, Lella è stanca ha bisogno di una pausa e di mangiare qualche cosa, anche se avevamo fatto pochi chilometri l’inizio non è mai troppo simpatico. La vista verso Tires è favolosa, ricominciamo a salire con qualche dubbio su Lella, che poi sconfessa alla grande! Il bosco è sempre più bello e poco dopo entriamo nella gola del Rio Sciliar! Davvero bella, si cammina con il rumore dell’acqua e paesaggi fatati. Nei pezzi dove il sentiero non esiste hanno costruito dei ponti sopra il Rio che congiungono anche per decine di metri il sentiero. Con un passo tranquillo arriviamo alla Malga Sesseichwaige, la Lella è in forma, tutti noi lo siamo ma abbiamo fatto 1000 metri di dislivello e decidiamo di fare il punto della situazione. Seduti in quel paradiso per una pausa mangereccia io ordino formaggio alla cipolla e mezza pinta di birra, anche se so che la salita non sarebbe finita lì e l’avrei pagata!
Le galline ci beccavano i piedi, le vacche pascolavano tranquillamente, la vista sui monti attorno, in particolare il gruppo del Catinaccio, era sempre più appagante e la voglia di salire cresceva. Così decidiamo di dirigerci verso il rifugio Bolzano, ossia il massiccio dello Sciliar, ossia il Monte Petz!

 

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Si riprende il cammino, il formaggio si fa sentire, c’è vento ed è abbastanza freddo e via via che saliamo si apre il paradiso! Roby è sempre avanti ad aprire la strada, la Gio ha una botta di energia (a lei capitano spesso queste cose), così parte e ci sta davanti, io assieme al formaggio e alla birra saliamo di buon passo ma con fatica… Però davvero lo spettacolo ripaga il tutto alla grande. Danilo mi fa notare delle marmotte a qualche decina di metri, più si sale più si scoprono le rocce dolomitiche dell’Alpe di Siusi! A fatica arriviamo al Rifugio Bolzano! Bello, se così si può definire, ci rilassiamo un attimo e il panorama a 360 gradi è davvero unico! Mi sono sentito in paradiso! Verso oriente le principali dolomiti: Il Sassolungo, il Sassopiatto, il Piz Boè, fino la Marmolada erano tutte in fila lì!

Entriamo nel rifugio e ci beviamo un caffè! Dicendo che sarebbe stato bello fermarsi una notte in quel paradiso.

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La discesa verso l’Alpe di Siusi è meravigliosa! Decidiamo di arrivare fino al Campaccio, da cui avremmo preso il bus fino a Fiè dove Roby e Dani avevano portato la mia macchina il mattino, Però ad un certo punto visto che era tardi ci dividiamo. Roby va in fuga fino a Siusi dove trova un passaggio per recuperare la macchina, noi proseguiamo verso il Campaccio passando per la malga Saltner utte. Sono ormai le 8 di sera, siamo a 1800 metri di quota ed  è fresco. Abbiamo fatto 20km e quasi 1700 di dislivello positivo (800 negativo), quindi inutile dire che siamo stanchi! Ma la forza per andare in pizzeria prima di arrivare a casa la troviamo tutti!

 

Luca Bragina 19 Luglio 2016

Spoleto-Norcia (?) in MTB

galleriaUn itinerario mai monotono, bellissimo in entrambe le sue parti, quella che scorre di fianco ai fiumi Sordo, Corno e Nera, il più grande tributario del Tevere, e quella che è scolpita attorno alla roccia del Monte Piano di Spoleto.

Non è né troppo duro né troppo lungo, si adatta a molti, e sembra quasi che chi progettò la vecchia ferrovia nel lontano 1926 fosse un ciclista e avesse già pensato che un giorno la tratta sarebbe stata convertita a tale scopo.

La gente è cortese, i bar e i posti di ristoro sono colmi di turisti che si godono i fantastici scorci e panorami della Valnerina.

La pista, completamente ciclabile, è segnalata perfettamente con cartelli e segni inequivocabili, che non danno la possibilità di perdersi nemmeno ai ciclisti meno esperti e alle famiglie nord europee che arrivano numerose, affascinate dai racconti che hanno sentito da chi ci è già stato o che hanno letto sul web.

Basterebbe molto poco credo, per fare della Spoleto-Norcia (?) quanto ho descritto sopra. E’ già tutto li, la natura e gli ingegneri ferroviari del primo novecento hanno già predisposto tutto. Peccato però che, una volta arrivati in prossimità di Biselli, la ciclabile finisca e non si riesca di fatto ad arrivare a Norcia (ecco il perché del ? del titolo) se non passando sulla temibile statale 685 e condividendo la strada a due corsie con auto e moto, rischiando di fatto di essere asfaltati soprattutto all’interno di una delle pericolosissime gallerie stradali. E peccato anche che lungo la gran parte del percorso le indicazioni per i ciclisti (o anche per chi affronta il cammino a piedi) siano piuttosto carenti e maldisposte.

Certo qualcuno dirà che basta informarsi prima su qualche blog o su qualche sito specializzato di mountain-bike, e che comunque qualcuno a cui chiedere lungo il percorso si trova sempre . Forse molti di quelli che si avventurano qui riescono anche a scoprire in anticipo che le gallerie stradali si possono anche evitare, passando nelle interruzioni del guard-rail o addirittura in certi casi scavalcando del tutto le protezioni. Di certo qualcuno dirà anche che così è più divertente, che c’è più spirito d’avventura, ma credo che sulla sicurezza sia meglio non scherzare.

Non si capisce come mai una risorsa come la vecchia ferrovia Spoleto-Norcia, un vero gioiello, che potrebbe essere così preziosa per il territorio e con un potenziale grandissimo, non venga meglio valorizzata, disponendo per esempio in maniera sistematica segnaletica chiara e realizzando almeno qualche cartina o foglio informativo che spieghino a chi la percorre prima di tutto dove passare, e che descrivano inoltre le innumerevoli bellezze naturali, storiche e culturali che si trovano lungo tutta la vecchia tratta del treno.

Nonostante ciò è innegabile il fascino che questi 50 chilometri hanno su chi li percorre, facendone un’itinerario davvero unico nel suo genere. Per motivi logistico-famigliari ho percorso il tracciato in senso inverso, da Norcia (?) a Spoleto, in solitaria e senza GPS o mappa (che poi credo non esista nemmeno in forma ufficiale) e quindi inevitabilmente perdendomi più volte e facendo molta più strada del previsto.

Alla partenza da Norcia seguo i segni del sentiero CAI un po’ prima della vecchia stazione ma decido che la direzione indicata (Cascia) non fa per me e così mi ritrovo da subito a seguire un tratturo che mi riporta a breve sulla statale proprio davanti al “porchettaro”. E’ ancora presto per un panino e così chiedo solo indicazioni su dove riprendere il sentiero. Meno di due chilometri e sono pronto a riattraversare il torrente Sordo e tornare sulla pista dove ho anche un primo assaggio di un paio delle vecchie gallerie scavate nella roccia. Affascinanti.

Continuo seguendo il sentiero (qui è davvero difficile sbagliare) e mi preparo psicologicamente per affrontare l’asfalto che so essere non troppo lontano. Arrivo all’incrocio di Serravalle dove la ciclabile si interrompe. Attraverso la strada per cercare di riprenderla ma la via è chiusa da un carrello porta gommone, nei pressi del quale un gruppo di Rafting sta per prepararsi ad affrontare le rapide del fiume. Chiedo informazioni a uno degli accompagnatori e come sospettavo ho la conferma che è ora di lasciare la pace degli alberi e il dolce rumore del fiume che scorre per affrontare la statale. Gentilissimo, l’uomo mi indottrina per filo e per segno su tutti i possibili passaggi segreti attraverso i guard rail per evitare le gallerie, ma non potrei mai immagazzinare la miriade di indicazioni che mi vengono fornite nei dieci minuti in sua compagnia, così ringrazio e continuo, sperando di avere fissato in testa almeno le dritte più importanti che l’istinto sarà sicuramente (…) in grado di fare tornare in mente automaticamente, innescate da qualche elemento visivo di cui mi accorgerò al momento opportuno.

Una volta capito il trucco del guard rail e che ogni galleria stradale ha una stradina di servizio che gli gira attorno, riesco ad evitarle quasi tutte. Uno di queste stradine porta addirittura in una magnifica gola sul fiume Corno e a una galleria di servizio adibita a “fungaia”, con all’interno tanti teli di plastica che spenzolano dagli scaffali, dando a chi ha il coraggio di percorrerla un vero brivido horror.

fungaiaGalleria della Fungaia

Arrivo al centro Rafting nei pressi di Biselli felice di essere riuscito nell’impresa di aggiramento, e da li riprendo ancora la strada principale in attesa del prossimo ostacolo, cercando di ricordare le istruzioni dell’uomo del Rafting. Manco però la deviazione presso la grande casa sulla sinistra perchè vedo la recinzione completamente chiusa, non ricordando che si apre all’occorenza e che da li avrei potuto riprendere il percorso dei vecchi binari, così come non mi fido di proseguire all’uscita successiva sulla destra, dove lo sterrato mi sembra non avere alcuno sbocco logico, e mi ritrovo quindi imprecando prima su un lungo viadotto e poi dritto nella interminabile galleria di Triponzo. Pedalo a gran velocità in mezzo alle macchine fino a Borgo Cerreto dove chiedo indicazioni e mi viene detto di attraversare il fiume Nera e da li a me la scelta di andare verso Spoleto o verso Norcia. Come verso Norcia?? Mi sono perso una delle parti più belle dell’intero itinerario, non posso permettermelo e decido di tornare indietro lungo il percorso ciclabile. Altre gallerie nella roccia mi riportano al cospetto della Balza Tagliata, altra gola che davvero non può essere saltata. Esploro un paio di deviazioni e ritrovo la grande casa sulla statale con la recinzione chiusa, così sono soddisfatto e posso riprendere il mio viaggio verso Spoleto. Proprio tornando in prossimità della Balza Tagliata sono incuriosito da un cartello che indica il percorso della vecchia ferrovia in direzione di una strada quasi nascosta sul fianco della gola. Questa volta so bene da dove sono arrivato ma la curiosità di vedere dove porta la deviazione è irresistibile e seguo il segnale evidentemente sbagliato. La strada è terribile, piena di buche e di rovi, massi caduti ai lati per le frane ma è stranamente asfaltata e continua a salire sulla montagna. Il treno non poteva certo passare da qui ma continuo lo stesso e arrivo nel borgo di Triponzo. Entro in un bar/trattoria per una pausa e la proprietaria, non appena chiedo se da qui si possa riprendere il sentiero per la vecchia ferrovia si mostra molto scortese e mi tratta male, non capisco perchè. Ce l’ha con tutti, coi ciclisti che passano e non hanno idea di dove sono, coi politici che si sono presi tutti i soldi destinati alla ciclabile e con lo stato della strada che ho percorso e che scopro essere nientemeno che la vecchia statale Norcia-Cascia. Rimango una buona mezzora a chiacchierare con la signora Maria Pia e il rapporto si fa più che cordiale, e le prometto così che scriverò di questa strada, del suo abbandono e della inesattezza delle indicazioni, e di come la vecchia ferrovia non sia vista bene purtroppo nemmeno dagli stessi abitanti della zona. Mi regala anche una cartolina con l’immagine della vecchia strada, e come si può vedere nelle immagini qui sotto c’è una bella differenza dalla situazione attuale.

balzatagliataBalza Tagliata ieri

balzatagliata2Balza Tagliata oggi

Vecchia strada Cascia-Norcia

 

Scendo di nuovo verso Borgo Cerreto e da li la strada continua liscia liscia fino a Santa Anatolia di Narco. Si segue il fiume, in un paio di occasioni ho ancora qualche dubbio per la mancanza di segnali, ma per fortuna trovo sempre qualcuno che gentilmente mi indica la strada giusta.

Ero partito in tranquillità pensando di fare una passeggiata dopo i racconti dei miei amici che il giorno precedente avevano percorso la stessa strada in senso opposto. In realtà da S.Anatolia inizia la parte più bella del tracciato, ma anche la più impegnativa. Arrivato nel paese ancora una volta provo a proseguire da solo seguendo l’istinto ma per ben due volte sbaglio strada e devo tornare indietro. Così sono costretto ad andare di nuovo contro la mia naturale tendenza all’isolamento chiedendo indicazioni al bar, e scoprendo con mia grande sorpresa che il treno da qui andava veramente in salita, attraversando prima la statale su un ponte che non esiste più, e arrampicandosi poi sulla montagna. Un cartello porta a salire su un sentiero molto stretto che diventa mulattiera più avanti. Anche qui trovo solo qualche sparuto segno bianco-rosso a indicare la via e perciò riesco ancora una volta a sbagliare strada, finendo in una radura in prossimità di una galleria chiusa che doveva servire come deposito per la ferrovia. Torno indietro al bivio e prendo il sentiero giusto, anche se sembra il meno logico. Incrocio due ciclisti che mi rincuorano dicendo che Spoleto è a soli otto chilometri, ma in realtà scoprirò che è la salita da S. Anatolia a non mollare mai per otto chilometri, è adatta a un treno e quindi non è mai troppo ripida, ma nonostante ciò devo dire che mi ha impegnato non poco. Si attraversano diverse gallerie sempre totalmente al buio (alla fine in totale sono 19 lungo tutto il tracciato), c’è anche un meraviglioso viadotto sospeso nel vuoto che fa davvero pensare ai trenini della Svizzera, come dicono le “recensioni”. Si giunge infine al valico di Caprareccia, dove si deve attraversare l’omonima interminabile galleria, lunga quasi due chilometri, sempre nel buio più completo. All’interno fa freddo e percorrerla con la luce del fanale della bici e della frontale provoca un certo brivido, ma io procedo cantando a voce alta (tanto nessuno mi sente) e il mio canto rotto dalla fatica assieme al rumore delle ruote sui ciottoli, all’acqua che gocciola e alla penombra rendono l’atmosfera davvero unica.

La luce alla fine del tunnel corrisponde anche alla fine della scalata, visto da qui in poi è tutto facile, in discesa fino al centro di Spoleto, dove termina anche il mio piccolo e incantevole viaggio.

Lucio Magi – Giugno 2016

 

Su Flickr  altre foto scattate lungo il percorso

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Vecchia Ferrovia Spoleto-Norcia.

Lunghezza 51km, 19 Gallerie.

Principali tappe: Norcia, Serravalle di Norcia, Biselli, Triponzo, Borgo Cerreto, Cerreto di Spoleto, Vallo di Nera, S.Anatolia di Narco, Valico di Caprareccia, Spoleto.

Maggiori info su:

https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrovia_Spoleto-Norcia

http://www.ferrovieabbandonate.it/linea_dismessa.php?id=154

 

I Crinali del Meta

Salve a tutti,
un breve resoconto della nostra uscita in Appennino del 31/01.

Intanto grazie per aver partecipato in gran numero all’inaugurazione del gruppo Indratrek, l’inizio di una nuova esperienza per noi e speriamo di nuove avventure per tutti coloro che vorranno condividere dei bei momenti di cammino insieme.

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Forse non abbiamo avuto un tempo perfetto durante la nostra prima escursione, ma sicuramente perfetto è stato il clima che abbiamo respirato durante questo bel trek che ci ha portato a percorrere le creste che da Borgo Pace affiancano il fiume Meta nel percorso che scende dal paese di Lamoli. Qualche tratto di salita un po’ impegnativa, non ha scoraggiato il gruppo che è restato compatto per tutto il tragitto. Abbiamo avuto modo, nonostante un po’ di nuvole, di apprezzare lo splendido panorama che ci circondava spaziando dal monte Nerone ai Sassi di Carpegna, senza contare i meravigliosi Arcobaleni che ci hanno indicato più volte la strada del ritorno. Terrazzi di scaglia grigia e spigoli di rocce stratificate hanno fatto da contorno per tutto il tragitto. Una bellissima camminata, con tanti amici vecchi e nuovi, compresi 3 bellissimi esemplari di razza canina. Grazie a tutti per la partecipazione, la bella energia ed i sorrisi che ci avete regalato in questo inizio di viaggio. Chi vuole, può trovare qualche spunto e qualche curiosità sulla storia dell’area che abbiamo visitato assieme sul sito www.indtratrek.it.

A presto e buon cammino

Tutti i dettagli tecnici del trek, oltra alla traccia GPS, sono disponibili su WIKILOC.

Grazie a chi ha messo a disposizione le proprie foto della giornata, visibili qui e sulla pagina Facebook.
Ricordo che alcune altre foto sono disponibili sullo spazio Flickr dedicato a Indratrek:

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Monte Petrano

Secchiano di Cagli 29/11/2015

Bel giro esplorativo sul “nuovo” sentiero CAI 74.
Nuovo perchè compare solo sulla carta più recente del Monte Catria e perchè è stato segnato abbastanza recentemente in tutto il suo sviluppo.

Il sentiero esplora il versante Ovest del Petrano, a picco sulla gola del Bosso, con belle vedute del massiccio del Nerone.

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Si parte da Secchiano di Cagli, poco prima del Bar/distributore davanti al mulino sul Bosso, dove c’è anche un piccolo parcheggio proprio di fianco all’imbocco del sentiero.
L’imbocco è segnato con un invito poco visibile sul guard rail e si presenta come una stradina sterrata in evidente salita proprio di fianco al corso d’acqua che scende dalla montagna.

Aggiornamento 5/12/2015: mi sento in dovere di riportare che solo una settimana dopo avere percorso il sentiero ora l’imbocco è molto ben segnalato con palo e tabelle proprio sulla strada di fronte al vecchio mulino.

Si risale il fosso per tutta la sua lunghezza, guadando alcune volte su entrambi i versanti e seguendo sempre gli evidenti segni bianco-rossi.

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Dopo l’ultimo attraversamento il sentiero si arrampica velocemente fino al pianetto in cui si trova la Presa dell’acquedotto. Siamo a circa 500 metri di altezza e incrociamo uno sterrato che proviene dalla strada principale che risale il Petrano.

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Qui i segni non sono proprio chiari ma occorre girare attorno al casottino in muratura e continuare lungo lo sterrato verso destra (Ovest), mentre se si prende a sinistra si sale appunto sulla strada principale.

Si segue lo sterrato in salita sempre all’interno del bosco (in questo tratto senza segnaletica), fino ad uscire in prossimità di un rudere (località Smirre, 678m di quota) e ritrovando anche i segni, alquanto “artistici” in verità..

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Proprio sopra Smirre abbiamo ancora la strada principale da cui scenderemo al ritorno. Questo è il punto infatti in cui si chiuderà l’anello del percorso. Per ora invece procediamo tenendo la destra e aggirando la montagna mantenendoci in quota fuori dal bosco. Dietro la parete lo scenario cambia notevolmente, diventando roccioso, una vera terrazza sopra il Bosso. Il sentiero procede sempre in aggiramento fino a rientrare dopo un paio di canaloni all’interno del bosco.

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Qui si continua lungo “l’alta via del Bosso” seguendo la gola dall’alto verso Ovest per un lungo tratto sempre tra gli alberi, con pendenze molto agevoli, fino a superare gli 800 metri di quota.

I segni puntano a sinistra verso la cima finchè un segno con due grosse pietre disposte a X mostra una deviazione decisa fuori dal bosco, mantenendosi sempre in quota e continuando ad aggirare la montagna fino a rientrare per un ultimo breve tratto tra gli alberi.

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Si sale sempre seguendo i segni che in questa parte molto spesso sono solo fettucce attaccate ai rami, finchè non si fuoriesce definitivamente dal bosco e si arriva sui prati sommitali del Petrano, di cui si vedono le antenne alla nostra destra.

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Attraversiamo i prati mantenendoci prima sulla sinistra per evitare un paio di canaloni e poi dirigendoci decisamente verso le antenne, dove ritroveremo la “civiltà”.

Prendiamo la strada che ci conduce a valle verso Cagli e la percorriamo fino ai 3 evidenti tornanti in fila. Proprio sul gomito dell’ultimo tornante si trova il rudere di Smirre, da cui possiamo riprendere il sentiero dell’andata fino al punto di partenza.

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Dati Tecnici
Dislivello totale circa 750m
Distanta totale circa 13km
Tempo di percorrenza circa 5h

Secchiano si raggiunge da Cagli (uscita Cagli Ovest se si proviene da Fano) seguendo la Provinciale 29 in direzione Pianello.

Traccia Wikiloc
http://www.wikiloc.com/wikiloc/view.do?id=11542821

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Valfucina-M. Faldobono-Elcito

Elcito 4/10/2015

Questo percorso permette di avere una bella panoramica generale sull’area della Riserva Regionale di Monte S. Vicino e Canfaito.

Si parte dall’Abbazia di Valfucina (750m), nelle vicinanze del borgo di Elcito (dove abbiamo parcheggiato le auto).
Valfucina era un potente monastero fondato probabilmente nei primi anni del XI secolo, che raggiunse l’apice dell’attività tra il 1227 e il 1236 quando estese le sue proprietà fino a Numana e Camerino. Secondo gli storici all’interno dell’Abbazia era presente anche una biblioteca.
Verso la metà del XIII secolo tutti i monasteri benedettini iniziarono un’opera di “riduzione dei costi” accorpando strutture per la il sempre minor numero di monaci e anche Valfucina accusò la crisi. Il suo ultimo abate resse il monastero fino al 1483.
L’abbazia è stata distrutta dal terremoto del 1799 e quella che si vede oggi è dei primi anni del 1800. E’ rimasta intatta solo la cripta, romanica.
Il castello di Elcito fu costruito probabilmente nel XII secolo a difesa di Valfucina e deve il suo nome ai boschi di leccio (“lecceto”).

Un grazie particolare a chi si è preso cura della segnaletica della zona. Fa veramente la differenza quando si percorrrono dei sentieri in perfetto stato come quelli che abbiamo trovato qui.

Seguendo il facile sentiero 209 che si inoltra lungo il fosso di Campocavallo si incontrano soprattutto roverelle, carpini, biancospini, noccioli e aceri. La salita è gradevole, non troppo ripida, e all’aumentare della quota aumenta il numero di faggi.

Si sale fino al Monumento di Canfaito (1079m), uscendo dal bosco e incontrando la strada che sale da Elcito e che continua attorno al S. Vicino fino a Pian dell’Elmo.

Facciamo una rapida deviazione sul piano di Canfaito per vedere i faggi monumentali, ci fermiamo per una sosta e continuiamo poi lungo il sentiero 165. Dal Monumento si prosegue per un breve tratto lungo la strada verso Pian dell’Elmo e quindi si prende a destra arrampicandosi sul pendio, seguendo il segno bianco-rosso e la freccia indicatrice.

Si attraversano le creste del Monte Forcella e Faldobono (1276m), dalla cima dei quali si gode di un vasto panorama che va dalla Gola della Rossa giù fino ai Sibillini e Gran Sasso, passando per le montagne di Esanatoglia. Lungo il percorso scorgiamo qualche Sorbo Montano.

Sempre seguendo gli impeccabili segni bianco-rossi si scende rientrando nel bosco dal versante NE del Monte S. Vicinello, seguendo quasi di continuo una recinzione di filo spinato.
All’uscita del bosco perdiamo i segni ma seguiamo l’evidente traccia che scende ancora verso la nostra destra seguendo il fosso attraverso il bosco e che ci porterà, dopo avere reincontrato i segni più avanti, alla fonte dei Trocchi di S. Vicino.

Passiamo il fosso e continuiamo all’interno del bosco fino a reincrociare la strada che ci riporterà a Elcito. Abbiamo scelto di proseguire sulla strada nell’ultimo tratto, ma in alternativa è possibile rientrare a Elcito dal sentiero che attraversa il Monte La Pereta e scende direttamente tra le rocce del borgo.

Dati Tecnici
Dislivello totale 643m
Distanta totale 13,82km
Tempo di percorrenza 6h

Elcito si raggiunge percorrendo la SP2 che unisce Apiro a San Severino Marche. Si raggiunge la frazione di Castel S. Pietro, dove si imbocca la strada che sale per circa 5km fino al borgo.

Tracce
Percorso ideato originalmente

http://it.wikiloc.com/wikiloc/view.do?id=10800500

Percorso reale, saltando la vetta del San Vicino e aggiungendo Canfaito

http://it.wikiloc.com/wikiloc/view.do?id=11003358

Alcune foto sono disponibili su Flickr

Appuntamento alla prossima uscita!

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Gran Sasso d’Italia, com’è andata

Sono stati due giorni stupendi, iniziati in verità con qualche piccolo disguido che aveva addirittura creato inizialmente dei turbamenti e ripensamenti in qualcuno, e che poi si è rivelato invece fonte di inevitabili prese in giro per il povero “prenotatore”… Il Rifugio Franchetti è una vera perla che da solo merita la fatica, ma il progetto originale di pernottare in tenda li fuori era in verità un po’ troppo “estremo”.
Le tende le montiamo invece alla Laghetta, di fianco alla pozza dove un branco di cavalli si raduna per bere al calar del sole. Il tramonto è favoloso, ma ancora più bella è l’alba che alcuni di noi (che non riescono a dormire svegliati dal ruminare dei quadrupedi che brucano l’erba attorno alle tende) hanno la fortuna di godersi. Con la luce del mattino si vede bene il rifugio, un po’ meno di mille metri di dislivello più su, arroccato nella roccia della valle delle Cornacchie in una posizione da brividi.
Poco dopo l’alba alcune altre tende vicino a noi iniziano ad animarsi, e arrivano anche i primi gruppi di scalatori, pieni di corde, che si preparano per la risalita a piedi fino alla base delle vie di roccia.

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Facciamo colazione e ci incamminiamo seguendo il Sentiero Italia su percorso comodo e panoramico verso la Madonnina , punto di arrivo della seggiovia di Prati di Tivo dove recuperiamo i due “sfaticati” che si sono offerti volontari per lasciare la macchina al punto di arrivo del percorso. Poco più avanti già inizia la roccia e la salita vera, che ci accompagnerà zigzagando fino al Franchetti. Appena sotto il rifugio abbiamo anche la buona sorte di un incontro abbastanza ravvicinato con un camoscio che, dopo avere dato un’occhiata prolungata a noi poveri umani che saliamo con tanta fatica, si allontana sulla neve.

Il panorama dal pontile del rifugio è toglifiato. Si scorge il punto di partenza e la seggiovia sotto di noi, mentre in alto vediamo a destra il Corno Piccolo e davanti e a sinistra le vette orientale e centrale del Grande. Nuda roccia e lingue di neve, pura natura.

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Siamo a due terzi della salita, ci fermiamo per un breve rifornimento energetico e caffeinico e ripartiamo verso la Sella dei Due Corni. Continuiamo ancora per un po’ e deviamo a sinistra per vedere il ghiacciaio del Calderone. Sopra di noi il sentiero che unisce le vette, da dove qualche temerario sta già scendendo. Dopo una breve sosta torniamo indietro e riprendiamo il sentiero principale che continua verso l’alto.
Più avanti rischiamo anche di doverci dividere, ma Robi e Marco si prendono carico di fare salire la povera Gaia sul breve tratto di ferrata, e lei si affida a loro senza fare una piega. Eroica.

Siamo quasi in cima, ci manca un ultimo pezzo. Sui ciottoli maledetti e in mezzo alle rocce affilate non c’è un vero sentiero e bisogna un po’ improvvisare. Inoltre qui la via si unisce a quella che proviene da Campo Imperatore e c’è talmente tanta gente da dovere in qualche punto doversi fermare per permettere il passaggio in senso alternato.
Finalmente arriviamo, la sensazione della vetta è sempre bella, porta il morale alle stelle e non fa sentire la fatica. Riusciamo anche a conquistarci uno spazio per mangiare vicino alla croce e possiamo riposare un po’ in mezzo a gente tanto diversa. Romani, abruzzesi, stranieri teutonici e orientali, perfino due “pseudoalpini” con tanto di cappello pennato. Il tempo di scattare qualche foto e scrivere qualche minchiata nel librone della vetta che tanto nessuno leggerà mai e cominciamo la discesa.

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Prendiamo tutti la via della splendida cresta, tranne Robi e la Gaia che giustamente scendono per il ghiaione. La cresta è lunga e esposta e occorre rimanere sempre concentrati. Sotto di noi a sinistra ci sono il Monte Aquila, il rifugio Duca degli Abruzzi e Campo Imperatore, mentre sulla destra la Val Maone (dove dovremo scendere) sembra ancora quasi solo una fessura. Finita la cresta ci riuniamo e continuiamo la discesa spaccagambe sul ghiaione. Il sole picchia, molti di noi hanno calcolato male le riserve idriche e ci dobbiamo arrangiare con la neve.
Prendiamo la deviazione a destra che porta al Rifugio Garibaldi e scopriamo all’arrivo che è aperto (prima volta sembra da sette anni a questa parte). Un vero colpo di fortuna perchè la sete si cominciava davvero a far sentire.
Continuiamo lungo la val Maone, magnificamente intarsiata tra il massiccio dei Due Corni e il Pizzo Intermesoli da un corso d’acqua invisibile. Lungo questa parte del Sentiero Italia ci si trova in mezzo a tanti fiori e piante diverse (vero Claudio??) e la discesa si fa anche molto più agevole (vero Elisa??).
Proseguiamo seguendo e maledicendo i segnali che continuano a dare Prati di Tivo a un’ora e mezza di distanza, fino alla Sorgente del Rio Arno (unica fonte durante la discesa) e poi, dopo avere seguito brevemente il torrente fino alla forra e dopo un ultimo tratto in salita (che come disse Robi in un momento di saggezza appannata dalla fatica, “serve a ricordare che non bisogna mai abbassare la guardia”), siamo finalmente di ritorno a Prati di Tivo.

Grazie a Marco per la sua guida sempre oggettiva e realistica (…) e speriamo che ci voglia ancora con sè in qualche altro giro altrettanto indimenticabile!

Alcune foto sono pubblicate nello spazio Indratrek su Flickr.com